Una costosa mina vagante. È l’immagine che rappresenta meglio il nuovo istituto delle dimissioni online, nato per necessità di semplificazione (e anche contro le dimissioni in bianco) ma trasformatosi in un boomerang di costi e complessità. Secondo il decreto legislativo 151/2015, il dipendente intenzionato a lasciare il proprio posto di lavoro non potrà più inviare una semplice lettera al proprio datore ma dovrà compilare un modulo online.
La procedura telematica prevede che il lavoratore acquisisca un apposito Pin dall’Inps oppure potrà rivolgersi a uno dei soggetti abilitati: i patronati, gli enti bilaterali, le organizzazioni sindacali e le commissioni di certificazione. E oggi anche le sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro e i Consulenti del lavoro. Il punto è che la nuova procedura non si occupa delle ipotesi di abbandono del posto di lavoro soprattutto in alcuni settori in cui gli occupati sono in gran parte extracomunitari. Quindi, considerato che gli abbandoni del posto di lavoro rappresentano il 5% delle dimissioni che avvengono ogni anno, sono 70 mila i contratti che la legge lascia nella completa incertezza perché senza la compilazione del modulo online le dimissioni non sono valide. Risultato. Per chiudere un contratto che altrimenti rimarrebbe pericolosamente aperto, il datore di lavoro dovrà licenziare per giusta causa il lavoratore per abbandono del posto. Peccato che questa scelta per il datore avrà un costo: il ticket licenziamento infatti può arrivare fino a 1.500 euro. Ma c’è un altro paradosso: trasformare una dimissione in «licenziamento effettivo» determina per il lavoratore dimissionario anche il diritto all’indennità di disoccupazione (oggi denominata Naspi) e un conseguente costo a carico della collettività. Certo non il massimo per una norma avrebbe dovuto semplificare. «Daremo come sempre il nostro apporto per il miglioramento del sistema — dice Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro — . Le criticità le abbiamo rilevate sin dall’avvio del dibattito parlamentare, ma ora siamo chiamati a svolgere le nostre funzioni di terzietà, così come avviene da un decennio in molte altri momenti della gestione del rapporto di lavoro».
Il Corriere della Sera – Isidoro Trovato – 28 ottobre 2016