È iniziata ieri in consiglio regionale la maratona – che potrebbe concludersi già stasera, sicché sarebbe meglio parlare di uno sprint – per l’approvazione dell’ormai famoso «Pdl 43», la proposta di legge statale che la Regione vorrebbe fosse la base di trattativa col governo sull’autonomia (vorrebbe perché il governo è scettico all’idea di devolvere alla Regione tutte le 23 competenze previste dalla Costituzione e contrarissimo all’ipotesi di finanziarle lasciando qui i 9/10 di Iva, Irpef e Ires).
La discussione, come già il confronto nelle commissioni e quello nella Consulta per l’autonomia, si sta risolvendo a onor del vero in una messa cantata, perché il governatore Luca Zaia è stato chiaro, «non si retrocede né dalle 23 competenze né dai 9/10 delle tasse», e perché per evitare guai tenendo il passo di Lombardia ed Emilia Romagna la maggioranza sta tirando dritto come un treno, così che non si capisce dove vi siano davvero margini per discutere ed eventualmente accogliere le proposte di modifica (miglioramento?) del testo. Di sicuro dei 63 emendamenti depositati a Palazzo Ferro Fini saranno cassati tutti quelli firmati dall’opposizione (21 sono stati presentati dal solo Pd), con l’eccezione, forse, di qualche emendamento pro autonomia di Belluno che può contare su un appoggio bipartisan. Sono invece destinate a sicura approvazione le 13 proposte avanzate dalla giunta, che evidentemente in corso d’opera ha ritenuto di procedere con in suoi tecnici a qualche aggiustamento, e quelle firmate dai consiglieri di maggioranza, in particolar modo della Lega, nella persona di Alessandro Montagnoli. Tra queste, ve ne sono alcune di un certo interesse.
Ad esempio quella che vorrebbe dirottare nelle casse della Regione una parte del canone Rai, «determinata in relazione al numero delle utenze presenti in Veneto», per poi destinarla al «sistema dell’informazione locale» e in campagne di comunicazione, diffusione e conoscenza delle «peculiarità delle diverse comunità locali del Veneto», in Italia e all’estero.
Un altro emendamento attribuisce alla Regione il reclutamento dei vigli del fuoco, oggi di competenza del ministero dell’Interno; un altro ancora, mutuando il sistema vigente in Valle d’Aosta (e solo lì che si sappia), trasferisce in capo al presidente della Regione le funzioni che oggi sono attribuite ai prefetti in caso di eventi calamitosi, dalla direzione dei servizi di emergenza al coordinamento dei soccorsi; un altro dà alla Regione il potere di individuare ed approvare il perimetro della circoscrizione dell’Autorità portuale del Mare Adriatico Settentrionale. Ci sono poi due emendamenti che riguardano l’uscita da fondi nazionali e la creazione di fondi regionali. Nello specifico, nel primo caso il Veneto uscirebbe dal fondo nazionale per il trasporto pubblico locale assumendo su di sé l’onere di finanziamento del servizio su ferro e su gomma per il tramite dei 9/10 delle tasse; nel secondo istituirebbe due fondi, uno per i Comuni ed uno per le Province, alimentato dai finanziamenti perequativi dello Stato integrati dai 9/10, riservandosi però il potere di distribuire poi i denari in questione «sulla base di autonome valutazioni e con criteri e parametri anche diversi da quelli utilizzati dallo Stato». Un’ipotesi che secondo i consiglieri idi minoranza potrebbe creare un «centralismo regionale» foriero di clientelismi politici nei municipi, della serie: a questo do i soldi, a quest’altro no. Sempre in tema fiscale viene ribadita (ma era già prevista) la possibilità per la Regione di modificare le aliquote, prevedere esenzioni, detrazioni e deduzioni delle imposte locali e pure di quelle nazionali, se viene chiusa un’intesa con lo Stato. Intesa che, esattamente come accade a Trento e Bolzano, si renderà necessaria ogni qualvolta lo Stato vorrà a sua volta legiferare in materie non di sua esclusiva competenza.
Detto degli aggiustamenti tecnici, sul piano politico le posizioni, a ieri sera, erano esattamente quelle registrate all’uscita dalle commissioni, con la maggioranza di centrodestra granitica nel sostenere il progetto di legge, i Cinque stelle e la variegata minoranza centrista scettica ma pronta a fare la sua parte, il Pd e Mdp decisi invece ad astenersi perché nient’affatto convinti della tenuta finanziaria della proposta ed in particolare dei 9/10 delle tasse. Tanto che Piero Ruzzante di Mdp ha avuto gioco facile a gettare sale sulle ferite dem: «Noi vi avevamo avvisato, ve l’avevamo detto che il referendum sarebbe stato strumentalizzato da Zaia. E difatti avevamo ragione, subito dopo il voto già si parlava di statuto speciale, di 9/10 delle tasse, Trento e Bolzano. È una proposta che anziché unire, divide, allontanando anche chi, sbagliando, ci aveva creduto». E mentre il leghista Marino Finozzi, con un lungo excursus storico partito da Alberto Mario e Niccolò Tommaseo, ricordava la voglia carsica di autonomia che da sempre attraversa il Veneto, il capogruppo dem Stefano Fracasso faceva di conto: «Avete sempre detto che lasciamo a Roma 15 miliardi. Ora volete tenervene 18. Chi paga quei 3 miliardi in più? Le altre Regioni? Più che paroni direi mantenuti a casa nostra. E poi che errore smarcarsi da Lombardia ed Emilia: a Roma contiamo 74 parlamentari su 945, da soli non andiamo da nessuna parte».
Il Corriere del Veneto – 15 ottobre 2017