Continua il dibattito sul business dei cani randagi. Il veterinario dottor Angelo Troi, lo scorso venerdì, aveva denunciato in una lettera ad Affaritaliani.it come i soldi pubblici vengano spesi inutilmente per risolvere l’annoso problema dei canili. Per non parlare delle mafie che si nascondono dietro lo sfruttamento degli animali. E ha lanciato una provocazione choc: meglio, per i cani, che continuino a soffrire in una gabbia o accettare l’eutanasia come estrema risoluzione al problema (come fa già la Gran Bretagna con l’approvazione della Peta)? Al veterinario aveva risposto Massimo Comparotto, presidente dell’Organizzazione internazionale per la Protezione degli Animali. E ora Angelo Troi replica con un’intervista che riportiamo di seguito
Come risponde a Massimo Comparotto. Il presidente dell’Organizzazione Internazionale Protezione Animali non è d’accordo con l’eutanasia degli animali?
“La mia è chiaramente una provocazione. Non mi piacciono i paragoni bambini-animali, carcerati-animali. I livelli di discussione sono ovviamente diversi. Io ho voluto sollevare un problema per l’opinione pubblica. E vorrei che questo tema venisse affrontato come negli altri paesi civili”.
Che cosa contesta all’Italia?
“Non possiamo pensare di essere i migliori solo perché abbiamo fatto una legge che è buonissima dal punto di vista delle intenzioni, ma in pratica allarga il randagismo in tutto il paese. Questa è oggi la realtà. In 20 anni di normativa si è arrivati alla situazione attuale, in cui anche zone che erano prive di randagi si sono trovate piene di cani vaganti. Io non ho proposto la soluzione, ho solamente voluto aprire una discussione su un problema”.
Chi c’è dietro il business del randagismo?
“La ‘ndrangheta per prima, ma anche tantissime altre persone. In questi casi va sempre cercato chi ci guadagna. Ed è semplice capirlo, basta vedere dove arrivano i soldi pubblici. Chiaramente, le associazioni criminali sono più veloci di altri a trovare il modo per recuperare i fondi che dovrebbero andare, invece, agli animali”.
C’è un coinvolgimento politico?
“La politica è come tutto il resto della società. Ci saranno cento politici che votano una legge in piena buona fede e con il massimo della trasparenza, ci sarà un politico che ha a che fare con associazioni che non usano come dovrebbero i fondi per gli animali. La politica sicuramente ha cavalcato la questione mediatica. Ma a guadagnarci, inutile nasconderlo, sono anche alcuni veterinari pubblici di alcune regioni, che finiscono per fare libera professioni su animali privati, pur partendo da slogan sui randagi”.
Puglia e Sicilia sono al collasso per il numero di cani randagi.
“Per questo vorrei portare gli italiani a una riflessione. Tempo fa lessi un articolo in cui un cittadino di Palermo che torna nella sua città, in mezzo ai randagi, e si stupisce che la vedano come una cosa normale. Ritornare corrisponde, dunque, per molte realtà, a tornare in mezzo ai randagi. Se ne accorge Nel resto dell’Europa sono considerati un problema, un qualcosa fuori posto mentre qui ci si abitua alla normalità del patologico. Vedere i cani per strada in Italia sta diventando qualcosa di normale, ma non può e non deve essere così”.
Lo Stato spende almeno mille euro per ogni cane randagio. E’ una cifra spropositata?
“Sì, i Comuni spendono almeno mille euro, ma anche di più. Una cifra assurda se si considera che il problema non viene risolto”.
A chi vengono dati i soldi?
“I soldi vanno per il mantenimento del cane nel canile alle associazioni o ai privati cittadini che decidono di aprire una struttura. Il problema è poi come vengono utilizzati questi soldi, se per i cani o per altri scopi. E poi i mille euro non sono sufficienti, perché bastano solo per il mantenimento dei cani. Da fonte ministeriale sappiamo che in Italia ci sono 600.000 di randagi. Mi domando: l’Italia ha fatto i conti sul fatto che deve spendere mille euro per ognuno di questi cani o non si è resa conto dell’impatto economico?”
E ci sono anche problemi sanitari e per l’ambiente…
“Certo, i danni sanitari sono pazzeschi, soprattutto se si decide di spostare un animale. Un esempio: se un cane siciliano malato di leishmania viene portato al nord diventa un problema perché ci vogliono tantissimi soldi per mantenerlo in vita e, soprattutto, perché la malattia se pure curata si può trasmettere ad un altro cane o ad una persona. La Leishmaniosi si cura, non si guarisce. Non mi sembra questa un atteggiamento etico nei confronti del randagismo”.
Quando parliamo di randagi parliamo dunque di un problema di salute?
“Assolutamente sì, ed è per questo che sono stati creati i canili. E’ il motivo per cui consiglio di guardare anche che cosa si fa in molti paesi europei, dove sono state trovate soluzioni alternative, tra le quali l’eutanasia. Io ritengo che un cane in una gabbia non stia bene, magari altri la pensano diversamente da me. Occorre una soluzione e il sindacato che presiedo si batte per questo. Non vogliamo l’eutanasia, è una soluzione estrema che, tuttavia, viene già utilizzata da moltissimi paesi europei poiché, in certe situazioni degenerate, risulta essere il sistema più umanitario”.
Benedetta Sangirardi – redazione di Affaritaliani.it
vedi anche la replica di Comparotto