Wired. Il lievito ad alta letalità è stato isolato per la prima volta nel 2009 e in Italia nel 2019. Il primo caso di quest’anno nel nostro paese ha riacceso l’attenzione su un patogeno emergente che la comunità scientifica invita a non sottovalutare. Ecco quello che c’è da sapere e cosa dicono i dati
Anzitutto, per adesso niente allarmismi né tantomeno panico. Ma grande attenzione sì, riferiscono medici e microbiologi, per la candida auris, un patogeno emergente che è noto ormai da qualche lustro e che ha tutte le carte in regola per diventare un problema non trascurabile di salute pubblica a livello globale. Stiamo parlando di un fungo lievitiforme parente stretto della più famosa e meno letale specie albicans (quella che provoca, tra le altre cose, la candidiasi cutanea), che ha tornato a fare parlare di sé a livello del grande pubblico dopo che è stato confermato nei giorni scorsi il primo caso di infezione in Italia nel corso del 2022, ma che la comunità scientifica sta – come si sul dire – attenzionando da anni. Fra i tanti, anche Nature Communications se n’è occupata proprio pochi giorni fa. Ma partiamo dal principio.
Sono diverse le caratteristiche peculiari di questo fungo che hanno portato la stampa – e non solo – ad attribuire a Candida auris il poco rassicurante appellativo di killer. Anzitutto la letalità: si stima infatti che, a seconda della tipologia di persona che viene infettata, le probabilità di non sopravvivere all’infezione fungina vadano dal 30% al 70%, con i valori più alti che riguardano ovviamente persone anziane (ma anche bambini) in condizioni pregresse di fragilità e con patologie multiple, a cominciare dai pazienti ospedalieri, presso i quali l’infezione è statisticamente più frequente. Naturalmente, l’essere immunodepressi e il seguire lunghe terapie a base di cortisone o antibiotici sono fattori ulteriori di rischio, e questo spiega ulteriormente perché l’attenzione e la prevenzione si focalizzano anzitutto in ambiente sanitario.
Un recente studio scientifico pubblicato sul Computational and Structural Biotechnology Journal ha posto sotto analisi tutte le 1.300 sequenze genetiche del fungo a oggi disponibili, verificando una elevata variabilità genetica collegata al meccanismo riproduttivo che genera un effetto leva in termini di resistenza ai farmaci. Secondo gli scienziati dell’università californiana McMaster, in particolare, la variabilità è tale che si potrebbe parlare in sostanza di una forma di riproduzione sessuata, a differenza di quanto accade generalmente per microrganismi di questo tipo.
Ulteriore elemento di apprensione è la capacità di Candida auris di infettare per contatto con superfici infette o con altre persone che hanno già contratto l’infezione, determinando proliferazioni a livello sanguigno e facendo il suo ingresso nel corpo attraverso lesioni cutanee, ferite, mucose e accessi venosi installati su persone ospedalizzate. Inoltre, questo lievito è in grado di generare un biofilm capace di resistere ai più comuni disinfettanti e prodotti detergenti usati in ambiente ospedaliero, inclusi perossido di idrogeno e clorexidina, oltre che ovviamente a quelli tipicamente a uso domestico. Il che significa, in sostanza, che una volta che il fungo ha colonizzato un’area ospedaliera (o eventualmente una casa privata) diventa particolarmente complesso da eradicare completamente.
E un ultimo elemento, tutt’altro che trascurabile a lungo termine, e l’affinità tra questo fungo e le condizioni climatiche caratteristiche del riscaldamento globale. Uno studio del 2019 pubblicato dalla rivista mBio, per esempio, ha messo in luce come le temperature più elevate aiutino il patogeno sia a sopravvivere più a lungo sia infettare in modo più efficace le persone, a differenza di quanto accade per funghi di specie affini. Temperature elevate e umidità sembrano essere proprio le condizioni ideali per la proliferazione di Candida auris e, visto il trend globale di evoluzione climatica, sono queste caratteristiche a fare sì che il tema sia sotto la lente di ingrandimento della comunità scientifica, come sottolineato anche dagli scienziati della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. Il bagno e il letto, in particolare, sono ritenute le aree più a rischio. La bassa suscettibilità termica – ossia la capacità di non essere indebolito dalle temperature più elevate – è confermata indirettamente pure dalla comparsa quasi contemporanea di casi di infezione un po’ in tutto il mondo, dall’America all’Africa, dall’Asia all’Europa, seppur in ceppi fungini differenti tra loro.
La storia di Candida auris, almeno secondo le attuali ricostruzioni scientifiche, inizia 26 anni fa in Asia. La prima identificazione formale del patogeno risale al 2009 nel padiglione auricolare di una donna 70enne in Giappone (a cui si deve anche il nome auris – ossia orecchio – attribuito al fungo), ma analisi successive hanno stabilito che con grande probabilità il fungo era in circolazione con alcuni focolai sempre in Asia già nella seconda parte degli anni Novanta, e il primo caso in assoluto si ipotizza possa essere stato nel 1996 in un paziente coreano. Nel Vecchio continente la storia di Candida auris è cominciata con tutta probabilità nella primavera del 2015 con un focolaio in Francia, mentre per l’Italia il primo paziente ufficialmente infettato è molto più recente, del 2019.
Non è comunque un allerta nuova per l’Italia: già due anni fa – a giugno del 2020 – il nostro ministero della Salute aveva diramato un’allerta ai laboratori di microbiologia affinché fosse fatto tutto il possibile per contenere eventuali diffusioni. Il che vuol dire, al solito, tentare di individuare precocemente i focolai e tenere monitorata la distribuzione spazio-temporale dei casi.