Roberto Mania. «Perché fin dall’inizio l’obiettivo di Confindustria era chiaro: abbassare i salari, ridurre il potere d’acquisto dei lavoratori. Le sembra un obiettivo che potevamo condividere?. Perché ha definito stranianti le parole di Squinzi sulla fine delle trattative?
«Perché quando si è accorto che le sue idee sul salario non erano condivise ha fatto come quei bambini che si arrabbiamo e portano via il pallone. Non ci si rende conto che i sindacati rappresentano interessi diversi da quelli degli imprenditori. I contratti si costruiscono sulla base delle mediazioni possibili. Ma stiamo su sponde opposte. Mi stupirei se non fosse così, se non ci fosse il confronto e anche il conflitto».
Sul Sole 24 ore, quotidiano della Confindustria, il direttore ha scritto che se ci fosse Giuseppe Di Vittorio vi maltratterebbe.
«Apprezzo il fatto che il direttore del Sole sia un fan di Di Vittorio. Detto ciò mi sembra scorretto attribuire comportamenti a chi oggi non c’è più, a chi ha vissuto in altra epoca e in altre condizioni politiche e sociali. Guardi, a volte vengono da rimpiangere i presidenti di Confindustria, come Angelo Costa e Gianni Agnelli, che pur nella durezza delle loro posizioni hanno sempre riconosciuto il valore del lavoro e della tutela del salario ».
Confindustria non sembra ostile all’intervento del governo. Secondo lei perché?
«A volte ricorda quei presidenti di calcio che tifano incomprensibilmente per un’altra squadra. Francamente non riesco a capire per quale squadra tifi la Confindustria. Per chi vuole toglierle il ruolo di rappresentanza? ».
Lei pensa che un intervento dell’esecutivo sia contro il sindacato?
«Le relazioni industriali sono relazioni tra le parti, lo riconosce lo stesso articolo 39 della Costituzione. Quale urgenza c’è di intervenire? In realtà c’è il pericolo che ancora una volta l’intervento del governo nasconda una sottovalutazione del valore del lavoro e della sua rappresentanza ».
Il tema dei contratti è off limits per il governo?
«La politica non ha off limits, ma i contratti sono accordi di natura privata, si fanno tra due soggetti che hanno interessi diversi. Si interviene anche in una lite tra due aziende? Il governo può anche intervenire sulle relazioni industriali, ma cosa mette sul tavolo? Nell’accordo del 1993, per esempio, ci mise la politica dei redditi. Questa volta? ».
La considera un’invasione di campo?
«Un governo che avesse a cuore davvero la ripresa del Paese tiferebbe per l’aumento dei salari, come peraltro suggerisce da tempo anche il Fondo monetario internazionale che riconosce pure il ruolo sul piano della redistribuzione della ricchezza che svolgono le organizzazioni sindacali. In questa stagione delle diseguaglianze indebolire la contrattazione collettiva, a favore per esempio del salario minimo, vuol dire creare le condizioni per un futuro di povertà diffusa».
In tutta Europa c’è il salario minimo legale. Anche la Germania l’ha introdotto pur avendo un solido sistema di relazioni industriali. Perché siete contrari?
«In un Paese come il nostro in cui l’85 per cento dei lavoratori è coperto dai contratti, l’obiettivo del sindacato deve essere quello di arrivare al 100 per cento ».
Date l’impressione di difendere il passato. Ma le sembra che sia stato così positivo?
«Mi piacerebbe che qualche volta si pensasse a cosa sarebbe successo in questi anni di crisi rispetto ai salari e all’occupazione senza il sindacato. Le politiche economiche, quelle dell’austerità, le decidono i governi, non i sindacati. Se dobbiamo trovare una responsabilità del sindacato è quella di aver pensato che la precarietà, nata dalle leggi proposte dai vari governi, si sarebbe superata con una iniziativa legislativa e non anche con la contrattazione».
È favorevole al prestito pensionistico per reintrodurre un po’ di flessibilità in uscita?
«Non commento le indiscrezioni. Certo è che un cambio nella legge Fornero è indispensabile. Serve flessibilità anche per dare una risposta occupazionale ai giovani. Siamo nel contributivo? E allora perché non lasciare libertà di uscita, senza penalizzazioni, a chi ha 62 anni di età? Ma si potrebbe introdurre il part time per chi è prossimo alla pensione, salvaguardando comunque la contribuzione complessiva, e contestualmente assumere giovani sempre a tempo parziale ».
La domanda che ci si fa ora è: ci sarà un autunno caldo?
«Mi pare piovoso…Io non ho come fine il conflitto, io punto a migliorare le condizioni di chi lavora ma è chiaro che senza accordi il conflitto è inevitabile».
Repubblica – 8 ottobre 2015