Congelare il pollo può ridurre di circa il 90% il tasso di trasmissione del Campylobacter all’uomo. Lo afferma la dottoressa Frieda Jorgensen, del Public Health England, l’agenzia del Ministero della Salute inglese. Il congelamento del pollo è obbligatorio in Islanda, nel caso l’animale sia trovato infetto dal Campolybacter al momento dell’abbattimento, perché ne viene vietata la vendita come fresco o refrigerato.
Una rilevazione della britannica Food Standards Agency ha trovato il Campylobacter nel 59% dei polli testati, e nel 4% dei casi il batterio era presente sulla parte esterna della confezione, favorendone così la diffusione. Tra poco dovrebbero essere diffusi i dati di una seconda rilevazione, con anche, per la prima volta, i nomi dei rivenditori dove sono stati trovati i polli contaminati, cosa che ha sollevato forti proteste da parte delle catene di supermercati.
L’affermazione della dottoressa Jorgensen, che ha avuto grande eco sui media britannici, riflette il parere emesso dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) nel 2011, secondo cui “apposite misure prima della macellazione potrebbero ridurre il rischio sino al 50%”, a cui potrebbero aggiungersene altre, come: la cottura su scala industriale o l’irradiazione delle carni, che possono in egual misura distruggere tutto il Campylobacter eventualmente presente.
pollo macelloCi sono altri sistemi per affrontare il problema: la surgelazione delle carcasse per due-tre settimane permetterebbe un calo di oltre il 90%, mentre un periodo più breve (due-tre giorni) o un trattamento con acqua bollente (80°C per 20 secondi) o con additivi come l’acido lattico si otterrebbe una riduzione stimata tra il 50 e il 90%. Se invece il pollo viene cotto, per abbattere il Campylobacter, bisogna raggiungere all’interno i 74°C per quindici secondi. In Gran Bretagna, l’azienda avicola Faccenda sta sperimentando una tecnologia danese, a base di vapore e ultrasuoni, per abbattere il numero di batteri nei polli macellati.
Il batterio può causare nell’uomo una malattia denominata campilobatteriosi, considerata la più diffusa infezione di origine alimentare in Europa. L’Efsa stima che il numero effettivo di casi sia di circa nove milioni l’anno, con un costo per i sistemi sanitari e in termini di perdita di produttività, di circa 2,4 miliardi di euro l’anno.
Beniamino Bonardi – Il Fatto alimentare – 25 novembre 2014