Campylobacter spp. non può crescere nel latte crudo, ma è in grado di assumere uno stato vitale ma non coltivabile (VBNC) che gli consente la sopravvivenza anche in condizioni difficili (ad es. esempio a basse temperature) e che lo rende più difficile da rilevare. La presenza di questo batterio nel latte crudo potrebbe quindi essere sottostimata e rappresentare una preoccupazione per la salute pubblica. E’ questa la conclusione raggiunta da un recente studio tedesco.
La campilobatteriosi è l’infezione gastrointestinale di origine alimentare più comunemente segnalata nell’uomo nell’Unione europea. Secondo i più recenti dati pubblicati da EFSA, nel 2021 sono stati segnalati 127.840 casi (EFSA, 2022). I tipici sintomi acuti della campilobatteriosi sono diarrea, dolore addominale e febbre, anche se in alcuni casi possono verificarsi anche complicanze a lungo termine. Le infezioni da Campylobacter nell’uomo hanno origine principalmente dal consumo di carne o latte crudi contaminati, dal contatto diretto con animali colonizzati o dal consumo di acqua non trattata contaminata.
C. jejuni è la specie Campylobacter più comune nelle infezioni umane, e la principale via di trasmissione zoonotica all’uomo è solitamente contaminazione incrociata tra feci e carne o latte crudo. Tuttavia, i dati sulla prevalenza di Campylobacter spp. nelle feci delle mandrie di vacche da latte variano nella letteratura scientifica (0-100%).
Nel 2020 nell’UE sono stati segnalati quattro focolai di campilobatteriosi associati alla vendita locale di latte crudo tramite distributori automatici. Il latte crudo dovrebbe essere raffreddato dopo la mungitura a meno di 4°C e mantenuto a questa temperatura durante il trasporto e lo stoccaggio nei distributori automatici. Sebbene la maggior parte dei distributori automatici sia dotata di un dispositivo di raffreddamento e di un agitatore per garantire un raffreddamento omogeneo del latte crudo, la temperatura media del latte misurata direttamente in loco in alcuni studi era di 7,7?±?3,8°C e un terzo dei campioni presentava una temperatura superiore a 8°C con il massimo di 18,6°C (Böhnlein et al., 2020). Diversi sondaggi in Italia hanno inoltre mostrato che il 13,9%–43% dei consumatori non bolle il latte crudo prima del consumo.
La sopravvivenza di Campylobacter jejuni nel latte crudo
C. jejuni cresce solo in condizioni speciali, cioè ad alte temperature e bassi livelli di ossigeno, e in generale la sua inattivazione non termica da parte dell’ossigeno è più lenta a basse temperature. Inoltre, Campylobacter spp. è altamente adattato a sopravvivere a condizioni difficili assumendo lo stato “vitale ma non coltivabile” (VBNC). In questo stato non è più individuabile con i metodi di rilevamento colturale, ma è in grado di ravvivare il suo potenziale infettivo in condizioni specifiche.
Gli studi che hanno esaminato la sopravvivenza di diversi ceppi di Campylobacter spp. nel latte crudo, scremato o non pastorizzato a diverse temperature sono molto scarsi, e solo uno ha studiato il potenziale di sopravvivenza di Campylobacter spp. nello stato VBNC nel latte crudo. In quest’ultimo studio, Wulsten et al. (2020) hanno utilizzato una viability real-time PCR di nuova concezione (v-qPCR) con colorazione con propidio monoazide. Questo metodo consente di quantificare in modo specifico le unità intatte e putativamente infettive (IPIU), ovvero tutti i batteri vitali, comprese le unità formanti colonie (CFU) e i batteri VBNC. Di conseguenza, è stato dimostrato che la sopravvivenza di C. jejuni nel latte crudo potrebbe essere stata fortemente sottostimata utilizzando solo i dati CFU. I ricercatori hanno inoltre dimostrato che questi IPIU potrebbero essere riportati allo stato coltivabile entro una finestra temporale sperimentale abbassando estremamente la pressione parziale dell’ossigeno.
Lo studio
In uno studio pubblicato a giugno 2023 sul Journal of Food Safety, un gruppo di ricercatori del German Federal Institute for Risk Assessment di Berlino ha studiato la sopravvivenza di Campylobacter jejuni nel latte crudo prendendo in considerazione non solo le unità formanti colonie (CFU) ma anche le cellule VBNC e la loro capacità di tornare ad essere infettive in caso di cambiamenti delle condizioni ambientali.
I risultati
Le CFU di due diversi ceppi di C. jejuni (DSM 4688 e BfR-CA-18043) sono state contate a tre temperature (5°C, 8°C e 12°C). Parallelamente, è stata condotta una viability real-time PCR per quantificare le unità intatte e putativamente infettive (IPIU) (che comprendono batteri CFU e VBNC).
Sono stati sviluppati tre modelli matematici sulla base dei dati sperimentali generati, in grado di prevedere l’effetto della temperatura sulla sopravvivenza di C. jejuni DSM 4688 e BfR-CA-18043 nel latte crudo. I modelli terziari ottenuti dimostrano chiaramente la potenziale sottostima della sopravvivenza di C. jejuni nel latte crudo. Poiché il grado di infettività delle cellule nello stato VBNC è ancora sconosciuto, i dati IPIU dovrebbero essere presi in considerazione come scenario peggiore, poiché questi VBNC potrebbero ancora essere infettivi. Per migliorare le previsioni basate su modelli delle concentrazioni di IPIU e CFU è necessario raccogliere più dati, poiché la variabilità nella sopravvivenza di C. jejuni nella complessa matrice del latte crudo è molto elevata. Inoltre, è necessario indagare sul tempo in cui i VBNC rimangono infettivi anche oltre la “finestra di recupero”. Nonostante queste considerazioni, i modelli appena sviluppati potrebbero diventare risorse preziose per diverse parti interessate.
Conclusioni
Sulla base dei risultati ottenuti gli autori hanno concluso che la sopravvivenza di C. jejuni è ampiamente sottostimata se basata solo sui dati CFU. Lo studio ha confermato la potenziale sottostima delle concentrazioni di C. jejuni nel latte crudo, non solo a 5°C ma anche a 8°C e 12°C.
Inoltre, è stato confermato che i VBNC nel latte crudo potrebbero essere recuperati con successo entro un intervallo di tempo rilevante riducendo drasticamente la pressione parziale dell’ossigeno.
Tratto da: “Modeling the survival of Campylobacter jejuniin raw milk considering the viable but non-culturable cells (VBNC)”, di Anna-Delia Knipper, Carolina Plaza-Rodríguez, Matthias Filter, Imke F. Wulsten, Kerstin Stingl e Tasja Crease. Journal of Food Safety. https://doi.org/10.1111/jfs.13077