TREGNAGO. Monta la protesta degli agricoltori della zona di Cogollo, colpiti dalla siccità ma soprattutto dagli animali. «O si eliminano oppure se cacciatori e Provincia li vogliono tenere, che almeno ci paghino i danni» Non vengono risparmiati nemmeno prati e frutteti
Gli agricoltori mostrano le colture danneggiate da siccità e animali Doppia sventura per i campi di mais in località Capelaro di Villa di Cogollo, frazione di Tregnago, a causa della siccità e dei cinghiali. Ma se per la prima si tratta di un evento eccezionale, che non si presenta tutti gli anni, i secondi sono ormai ospiti fissi a banchetti a cui non sono invitati dagli agricoltori, che si vedono il raccolto devastato dalle scorribande degli irsuti suini selvatici. «Ci dicano se dobbiamo seminare il mais per i cinghiali e lo facciamo, ma almeno ci paghino la fatica e le spese, che poi noi non pretenderemo altro», dicono rivolgendosi sconsolati alle autorità che hanno competenza per la caccia, Pietro Orsiani, Adriana Prealta, Arrigo Taioli, Romano Tertulli e Sandro Vanti agricoltori che non sanno più a che santo votarsi per salvare le colture. Le incursioni sono ormai una costante da 7-8 anni a questa parte, cominciate con poche apparizioni diventate via via più frequenti e devastanti. Con la differenza che nei primi due anni la Provincia e l’Ambito territoriale di caccia risarcivano gli agricoltori, i quali invece negli ultimi tre anni non vedono l’ombra di un centesimo. «Ai primi danni l’associazione cacciatori mi ha risarcito quasi completamente, poi tre anni fa, dopo una devastazione totale, il perito venuto a verificare ha calcolato un danno del 98 per cento sull’impianto del mais e garantito che sarei stato risarcito per almeno il 90-95 per cento. Mi è arrivata una richiesta di fornire l’Iban del conto bancario e da allora, e sono passati tre anni, non si è mosso più nulla», rivela Orsiani. Gli altri sono nelle stesse condizioni, decisi a smettere di coltivare mais: «Purtroppo qui è una zona dove non si riesce a seminare nient’altro perché i campi sono raggiungibili attraverso una strada stretta e le grandi mietitrebbie non riescono a entrare», dicono, lanciando la provocazione che «o si eliminano i cinghiali o se li vogliono tenere, Provincia e cacciatori ci paghino i danni». I conti sono presto fatti: costa 60 euro la semenza per seminare un campo di mais (circa tremila metri quadrati); altri 100 euro per la preparazione del terreno con l’aratura e la semina; 35 euro se ne vanno per il diserbante e 60 euro a campo costa la trebbiatura. Negli anni fortunati si ricavano fino a 30 quintali a campo vendibili a un costo di 20 euro al quintale: anche quando va bene non si diventa ricchi, ma se sul campo si mettono di traverso prima del raccolto branchi di cinghiali non c’è speranza di ricavare nulla e non si rientra con le spese. «Di sei campi di mais devastati per il 60 per cento del raccolto ho incassato l’equivalente di un risarcimento del 10 per cento nel 2010», ricorda Vanti, «e da allora ho deciso di cambiare coltura perché non posso più seminare mais per mantenere i cinghiali», dice. Stessa sorte tocca però al prato stabile, arato nelle notti invernali da decine di musi grufolanti alla ricerca di larve e tuberi, e tocca ai ciliegi, privati nei rami più bassi di ogni frutto. Tiziano Castagnini dell’Associazione cacciatori veneti di Tregnago rivela che le doppiette sono in realtà con le mani legate. «Un tempo si divideva a metà la preda con il proprietario del terreno. Adesso bisogna portare tutta la carne al macello autorizzato di Fumane, e se ne riceve in cambio il 25 per cento. Non è affatto conveniente e difatti più nessuno esce alla caccia al cinghiale», spiega. Per la cosiddetta «girata», che si effettua dal 1° novembre al 31 gennaio, bisogna essere da 6 a 12 cacciatori più un conduttore di cane e si può trattenere l’intera carcassa della preda. Dal 1 febbraio al 31 ottobre la carne portata al macello dovrebbe servire per coprire i danni agli agricoltori ma a quanto pare non ci sono soldi sufficienti per rispondere a tutte le legittime richieste.
L’Arena – 26 agosto 2012