Il Sole 24 Ore. Se già prima della caduta del Governo Draghi i medici non sprizzavano certo ottimismo da tutti i pori la crisi politica a luglio e la conseguente corsa al voto ha accresciuto ancora di più il loro pessimismo sul prossimo futuro. Ora un medico su tre è convinto che la propria condizione professionale peggiorerà, mentre addirittura tre medici su quattro pensano che anche il Servizio sanitario nazionale rischi di soffrire lo stesso destino. Infine quasi la metà dei medici (il 42%) crede che sia a rischio anche la delicata partita dei fondi del Pnrr.
A provare a raccontare l’umore finito sotto i piedi dei camici bianchi reduci da oltre due anni di pandemia è una ricerca di Iqvia – provider globale di dati sanitari – condotta su un campione di circa 200 tra medici di medicina generale, medici ospedalieri e territoriali prima e dopo la caduta del governo con le interviste effettuate dal 15 al 29 luglio. Confrontando i due periodi, la ricerca mette in evidenza il crescere della sfiducia e del pessimismo sulla possibilità di costruire una Sanità più efficiente ed efficace. Nel periodo post-crisi di governo, peggiora infatti di ben 9 punti percentuali (dal 25% al 16%) l’aspettativa di miglioramento della propria situazione professionale, che già era molto bassa (era ottimista solo un camice su quattro). Cresce poi notevolmente la previsione di peggioramento del servizio sanitario nazionale (dal 59% al 74%) e aumenta considerevolmente la percentuale di chi pensa che la gestione dei fondi del Pnrr sia a rischio (da 29% a 42%). È in crescita anche il pessimismo generale sul futuro: passa dal 28% al 37% la percentuale dei medici che si dichiarano assai poco fiduciosi su ciò che ci attende.
Sono dati che mettono in evidenza come la categoria professionale dei medici sia particolarmente sensibile ai rischi dell’impatto della situazione politica sul sistema sanitario e sulla gestione dei fondi del Pnrr, considerati cruciali per rafforzare i servizi e sviluppare nuovi modelli di presa in carico dei pazienti (servizi territoriali, case della salute e progetti di telemedicina). «Abbiamo voluto sondare il sentiment dei medici pre- e post-crisi di Governo. Questa ricerca condotta su un campione rappresentativo di tutta Italia – spiega Sergio Liberatore, amministratore delegato di Iqvia Italia -, mostra la preoccupazione per il futuro da parte dei medici che lavorano sul territorio dopo gli anni devastanti della pandemia».
Pierino Di Silverio, segretario di Anaao Assomed principale sigla dei medici ospedalieri, conferma il pessimismo dei camici bianchi e parla di «grave oblio» della politica dopo l’ondata del Covid quando si parlava dei medici come di «eroi ed angeli». E gli effetti di quell’oblio si vedono tutti i giorni «visto che secondo i nostri dati ogni giorno si dimettono in media sette medici per andare a lavorare nel privato o all’estero dove ci sono condizioni sicuramente più dignitose». «In questa campagna elettorale manca una riflessione sul modello del Servizio sanitario che vogliamo perché se continuiamo a considerare l’ospedale un’azienda non si va de nessuna parte», aggiunge Di Silverio. Che sottolinea come dei 20 miliardi del Pnrr destinati alla Sanità solo meno di 1 miliardo è riservato al personale, in particolare alle borse di studio degli specializzandi e invece «servirebbe un piano Marshall per la Sanità che indichi un’asticella alta di investimenti mentre già nel 2023 si tornerà a investire solo il 6,6% del Pil che è circa la metà di quanto si investe in altri Paesi europei». Per il segretario di Anaao bisogna tornare a rendere attrattiva la professione del camice bianco a esempio «defiscalizzando» parte del lavoro del medico: «Chi fa libera professione in intramoenia, cioè dentro l’ospedale, intasca solo il 35% del guadagno su cui poi paga le tasse». «Ma vanno detassati anche gli straordinari che si fanno a esempio per abbattere le liste d’attesa come accade per altre categorie», aggiunge Di Silverio.