Il Cavaliere chiede: no a leggi sulle tv e sistema elettorale. Silvio tenta di difendere il Porcellum per non perdere la Lega Tentativi fino all’ultimo per persuadere Bossi
UN PRANZO lungo due ore a palazzo Chigi e ricco di suggerimenti, paure e richieste. Su due temi Berlusconi va però giù duro e dice chiaramente di non essere disposto a trattare: «Questo governo può occuparsi di tutto, ma non del sistema televisivo e di legge elettorale». Intorno al tavolo Silvio Berlusconi. Alla sua destra Gianni Letta, alla sua sinistra Angelino Alfano e davanti il presidente del Consiglio in pectore Mario Monti. L’ex commissario Europeo ascolta con molta attenzione il sottosegretario, mentre scruta il Cavaliere che si muove nervosamente sulla sedia e sembra soffrire il raduno conviviale in punta di forchetta.
Ovviamente Berlusconi racconta le riforme fatte «prima che partisse la macchina del fango contro di me». Sottolinea il «grande senso di responsabilità» mostrato da tutto il centrodestra con il passo indietro. Poi accusa la speculazione internazionale che «si è accanita contro l’Italia quando invece i nostri fondamentali sono buoni». L’umore del presidente del Consiglio resta pessimo malgrado la giovialità di Letta e i tentativi del professore di sdrammatizzare dicendo più volte di condividere le analisi del Cavaliere.
Alla domanda «che idee ha per il governo», Monti non risponde direttamente, ma Berlusconi insiste nel proporre l’inserimento di «qualcuno dei nostri per non disperdere il gran lavoro fatto». In cima alla lista c’è ovviamente Gianni Letta che il Cavaliere vorrebbe restasse al suo posto, se non può essere nominato vicepremier. «Gianni è una persona delle istituzioni, non capisco l’ostinazione delle opposizioni». Il sottosegretario sembra essere più consapevole del premier sulle difficoltà esistenti ed è quasi sollevato dal rischio di diventare nel nuovo governo il collettore di tutti i possibili scontenti del Pdl.
Del programma si parla poco, anche perché i commensali sanno che è già scritto nella lettera inviata da Bruxelles. Men che meno il Cavaliere, a dispetto di quanto poi sosterrà nella successiva riunione dell’Ufficio di presidenza del Pdl, ipotizza delle scadenze. Ciò che invece preoccupa seriamente il Cavaliere è il destino delle sue aziende. Rie-cheggiano le parole pronunciate il giorno prima dal presidente di Mediaset Fedele Confalonieri: «Spero che (la caduta del governo Berlusconi ndr) non abbia refluenze sul futuro delle tv Mediaset. Spero che ci sia una ragionevolezza nel comportamento di chi andrà a governare nell’immediato futuro o anche più in là». Berlusconi durante il pranzo va però oltre l’auspicio di Confalonieri e il messaggio deve essere arrivato forte e chiaro. Al punto che ieri sera lo stesso Cavaliere sosteneva di aver ricevuto «chiare rassicurazioni». Con Mediaset al riparo e la certezza che il governo non si occuperà nemmeno di giustizia, il Cavaliere si concentra sull’altro punto sul quale «sono pronto anche a ritirare la fiducia»: la possibile riforma della legge elettorale.
Berlusconi parla a lungo della necessità di «difendere il bipolarismo» e spiega a Monti che un governo con dentro tutti, o quasi, non è proprio la migliore occasione per mettere mano alla legge elettorale. «Rischiamo di tornare indietro di vent’anni in un sol colpo».
La difesa del Porcellum anche dall’assalto del referendum, è argomento che Berlusconi tocca anche a Montecitorio nell’incontro – che precede il voto di fiducia – con Bossi, Calderoli e Maroni. Il Cavaliere fa di tutto per convincere il Carroccio ad entrare nel governo: «E’ un errore star fuori. Questo governo avrà il plauso di tutti e poi io ho anche rinunciato a Letta per avere le mani libere e potergli staccare la spina in qualunque momento». Bossi nicchia, Maroni non ci sta e Calderoli conclude dicendo che la Lega «valuterà di volta in volta». «E’ però certo- aggiunge il ministro della Semplificazione – che se cambiate la legge elettorale ognuno andrà per la sua strada».
Berlusconi sa che le tv e il rapporto inossidabile con la Lega sono stati i due pilastri delle sue fortune politiche e «ora qualcuno vuol farmi pagare anche il rapporto stretto con Putin», si è sfogato ieri sera il premier a palazzo Grazioli mentre dalle finestre arriva l’eco dei caroselli e dei clacson.
Il Mesaggero – 13 novembre 2011