Rischia di naufragare miseramente il taglio alle pensioni d’oro dei dipendenti della Camera. Gravati da trecento ricorsi dei lavoratori, i giudici interni hanno chiesto alla Consulta di verificare la legittimità costituzionale della sforbiciata. Che, ricordiamolo, ridimensionava i vitalizi superiori a quattordici volte il trattamento minimo dell’Inps.
Una scelta obbligata, sostiene la commissione giudicante, perché la ghigliottina assomiglia troppo a una norma bocciata più di un anno fa dalla Corte costituzionale. Una nuova battuta d’arresto nella battaglia contro i costi della politica sembra dietro l’angolo.
Quello che piomba sul tavolo dei giudici della Camera assomiglia a un autentico pasticcata Tutto ruota attorno a una delibera approvata dall’ufficio di Presidenza dei deputati lo scorso 4 giugno. Ricalca il contributo di solidarietà introdotto nella manovra economica varata nel dicembre 2013 dal governo di Enrico Letta. Con una pecca, a quanto pare: presenta «elementi di identità» con il “contributo di perequazione” voluto nel 2011 dall’esecutivo di Silvio Berlusconi (valido anche durante la stagione di Mario Monti) e già stroncato nel maggio 2013 dalla Consulta.
Un pasticcio, appunto. Come pure sul filo è la mossa dei giudici – i democratici Francesco Bonifazi (il presidente), Ernesto Carbone e Fulvio Bonavitacola – di rivolgersi alla Corte. Perché se è vero che la pronuncia, sotto diversi profili, «non potrebbe essere sinda- dalla Consulta» – così si legge – è altrettanto vero che, per altri versi, «non potrebbe essere sindacata neanche dalla commissione giurisdizionale ». Chi deve decidere, allora? Alla fine per superare l’inghippo e non lasciare «indefiniti» i ricorsi – e naturalmente per allontanare il rischio di eventuali successive responsabilità contabili – i tre deputati decidono di rivolgersi comunque ai giudici costituzionali. Le riflessioni messe nero su bianco intanto sono già una critica parecchio esplicita agli estensori della norma: «Applicandosi a una sola categoria di cittadini (i pensionati) tale contributo non consente di escludere manifestamente la menomazione dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito ». E ancora, mettendo il dubbio che si tratti di un contributo di solidarietà: l’intervento «non presenta elementi tali da escludere manifestamente che abbia natura tributaria».
Per una sfida che rischia di essere persa, ce n’è una a un passo dal successo. In un’altra sentenza, infatti, i “giudici” gelano le speranze dei dipendenti di Montecitorio che avevano presentato ricorso contro i tagli alle indennità, confermando la riduzione del 10% di questa voce dello stipendio. Via libera anche a un secondo intervento, decretato nell’agosto del 2013, che accentua la prima sforbiciata. La commissione bolla questi ricorsi sono come tardivi e infondati, respingendo anche l’ipotesi di un comportamento antisindacio. cale della Camera. Il paletto fissato è chiaro: a differenza della parte fissa dello stipendio, scrivono i giudici, le indennità possono essere oggetto di tagli. Sarà lo stesso anche per il tetto di 250 mila euro agli stipendi dei dipendenti, appena varato dalla Camera? A breve l’ardua sentenza.
Repubblica – 12 dicembre 2014