Se il fondo per la riduzione del peso fiscale entrerà in funzione solo dal 2014, una boccata d’ossigeno per professionisti e imprese, specie quelle di minori dimensioni, potrebbe arrivare prima grazie al “taglio”, sia pure selettivo, dell’Irap. Per scardinare e limitare gli effetti “perversi” di quella che è considerata dai destinatari come l’imposta più odiosa, il Governo ha ora un’arma in più.
Nell’ambito dell’articolo 4 della delega fiscale dedicato, tra l’altro, alla «revisione dell’imposizione sui redditi di impresa» e alla «previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni», è stato infatti introdotto un emendamento della Lega che dà mandato all’Esecutivo di «chiarire la definizione di autonoma organizzazione ai fini della assoggettabilità dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) dei professionisti e dei piccoli imprenditori». La modifica, spiega il relatore del Ddl delega, Alberto Fluvi (Pd), ha ricevuto il parere favorevole dello stesso Governo nel corso del dibattito svoltosi alla commissione Finanze della Camera, guidata da Gianfranco Conte (Pdl), e che si è concluso venerdì con l’approvazione di un testo riformulato in quattro articoli. L’intervento non sarà comunque facile. Anche perchè quello che ha sempre impedito di “toccare” l’Irap è la sua “infungibilità contabile”: ogni anno grazie a essa affluiscono nelle casse dello Stato e delle Regioni circa 30-35 miliardi che finanziano gran parte della spesa sanitaria nazionale. Ciò non toglie che l’esigenza di un riordino dell’Irap, che grava sul costo del lavoro, sugli interessi passivi e sull’utile è diventata improcrastinabile. L’ultima draconiana condanna, in ordine di tempo, sull’Irap l’ha pronunciata qualche giorno fa il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, definendola «un’imposta maledetta che colpisce chi mette più cervello nel suo lavoro». Non essendo al momento immaginabile un’abolizione tout court del tributo, si potrebbe avviare una revisione a beneficio di professionisti, lavoratori autonomi e piccole imprese, delimitando l’area di applicabilità dell’Irap. I contribuenti sottoposti a questo tipo di prelievo sono circa 5 milioni. Nel corso degli anni la platea, però, è andata assottigliandosi con l’esonero progressivo e, certamente non pacifico, dei soggetti privi di “autonoma organizzazione”. Questo concetto è stato elaborato in ambito giurisprudenziale in seguito al contenzioso sempre più aspro che si è scatenato tra l’amministrazione finanziaria e i contribuenti. Un contenzioso che ha visto in prima linea professionisti e piccoli imprenditori con esiti alterni e che a tutt’oggi può considerarsi aperto. Per questo motivo un “chiarimento” per mano del legislatore, a patto che sia davvero un chiarimento e non la ricerca dell’ennesimo parziale compromesso, potrebbe essere accolto positivamente da tutte le parti in causa. In linea di massima, oggi, per rientrare nell’area “Irap free” bisogna possedere tre requisiti: non si deve essere responsabili di una struttura organizzativa; non si devono avere dipendenti o collaboratori fissi; e nello svolgimento dell’attività non si devono utilizzare beni strumentali oltre il minimo necessario. Se questi parametri sono abbastanza consolidati ormai, le modalità con cui sono stati calati di volta in volta nelle sentenze tanto di merito che di legittimità, sulle caratteristiche concrete dell’attività svolta da imprenditori, professionisti, lavoratori autonomi e artisti non possono dirsi altrettanto pacifiche. Una “svolta” interpretativa sull’affare Irap è stata impressa dalla Corte di cassazione nel 2010 (con le pronunce 21122, 21123 e 21124) quando ha riconosciuto l’esenzione a coltivatori diretti, artigiani, piccoli commercianti e, più in generale, alle mini imprese che esercitano l’attività “prevalentemente” con il proprio lavoro. Ma questa “linea” non sempre viene accolta apoditticamente. Così la stessa Cassazione è stata di nuovo chiamata in causa negli ultimi mesi per sancire, ad esempio, l’esonero dal versamento per l’avvocato che collabora da esterno con uno studio di altri professionisti, ovvero per il consulente finanziario che svolge la sua attività semplicemente con l’auto, il telefono mobile e “sporadicamente” con l’assistenza di qualche aiutante. Una situazione esemplare per comprendere in base a quali circostanze va stabilita la linea di demarcazione fra chi deve pagare l’Irap e chi no è quella dei medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale: se il professionista ha uno studio dotato dell’attrezzatura prevista dall’accordo nazionale collettivo (si tratta, in questo caso, del minimo necessario) non paga il tributo; se ha dipendenti o una segretaria invece sì, perchè la sua attività si configura come dotata di autonoma organizzazione.
Ilsole24ore.com – 8 ottobre 2012