Bruno Piva non è più sindaco di Rovigo e ieri mattina alle 9.49 ha ricevuto ufficialmente il benservito, con le dimissioni in blocco di 19 consiglieri di cui ben sei della sua ex maggioranza di centrodestra. Già nominato il commissario che reggerà il Comune fino alle prossime elezioni, il viceprefetto di Novara Claudio Ventrice.
L’addio di Piva ha un suo rilievo politico, visto che cade l’ultimo capoluogo del Veneto retto da una coalizione egemonizzata dal Pdl, e non paiono pochi gli ex tentati da una futura intesa col Pd che, alle ultime Europee, nel capoluogo del Polesine è volato oltre il 45 per cento.
Sotto i portici di piazza Vittorio Emanuele II, però, erano ben altri elementi ad animare il dibattito. La notizia è corsa velocissima di bocca in bocca, in particolare fra i molti increduli. Certo, la crisi era conclamata da sette mesi e i veti incrociati tra gli alleati avevano, di fatto, paralizzato ogni iniziativa. Piva, però, era sempre riuscito a cavarsela, tra innumerevoli falsi allarmi, dimissioni depositate e ritirate, un infinito rimpasto di Giunta e una mozione di sfiducia che, ironia della sorte, sarebbe dovuta essere votata dal consiglio proprio ieri mattina. Il sindaco, buon incassatore, ha mantenuto una certa serenità anche dopo il colpo del ko, anche se non era difficile cogliere un’ombra di malinconia nel ripensare all’insediamento di giugno 2011: allora Piva era supportato da un centrodestra unito e abile nel capitalizzare le parossistiche divisioni del centrosinistra che, dopo i cinque anni di Fausto Merchiori, si era frammentato tra cinque diversi candidati. Tanti i consensi raccolti da Piva (oltre l’insediamento tradizionale della coalizione) stimato come ex primario di Terapia antalgica, uomo di sport, ex presidente del Coni e medico sociale del Rugby Rovigo. Ma ben presto l’euforia ha lasciato il posto ai problemi posti dalle casse svuotate dalla crisi e da una maggioranza sempre più litigiosa.
Così si arriva rapidamente a metà mandato, senza risultati di rilievo e con mal di pancia a non finire. Dalla verifica alla crisi il passo è breve. Le ostilità si aprono ufficialmente l’11 gennaio scorso all’agriturismo Millefiori di Fenil del Turco, dove viene chiesto un patto di fine legislatura. Ma la sintesi non arriverà mai. Il primo schiaffone in aula a Piva arriva un mese dopo, quando si rischia la prima rottura sul Passante Nord, la grande opera che divide l’opinione pubblica e la stessa maggioranza, perché il progetto di Veneto Strade prevede che venga sventrato il Parco Langer. Tempo due settimane e a fine febbraio il sindaco va sotto sul completamento della cessione ad Ascopiave di Asm Set, società partecipata di vendita dell’energia. Piva, incautamente, pone la questione di fiducia e si trova ad avere 13 voti favorevoli contro 18 no. Così il 3 marzo il primo cittadino presenta le proprie dimissioni, salvo ritirarle il 20, asserendo di avere trovato una quadra. Ma sovrapporre gli auspici alla realtà non è mai un esercizio proficuo e la crisi riesplode dopo pochi giorni, quando Piva estromette dalla Giunta l’assessore ai Lavori pubblici, Aniello Piscopo, e quello al Bilancio, Stefano Bellinazzi. Per protesta e solidarietà con i colleghi c’è il titolare delle Risorse umane, Ezio Conchi, che se ne va sulle proprie gambe.
L’esecutivo, di fatto, è dimezzato con solo cinque assessori in servizio. I posti restano vacanti a lungo anche perché, caso più unico che raro, è difficile trovare qualcuno disposto a metterci la faccia in un simile caos. Ad aprile Piva riesce a coinvolgere Alba Maria Rosito, ex collega all’ospedale e amica di vecchia data. Insomma, una persona di sua fiducia cui prima attribuisce i Lavori pubblici e poi, a fine maggio, anche il Bilancio.
Scelte che non contribuiscono a rasserenare il clima, perché le deleghe di maggior peso vengono attribuite all’assessore di minore esperienza. In parallelo viene chiamato in Giunta Simone Bedendo, capogruppo dei leghisti di osservanza tosiana, attribuendogli la Polizia municipale. A giugno, mentre la situazione continua a precipitare, arriva Cristina Folchini, forzista con deleghe light.
Mentre Piva rimpasta, in consiglio non si riesce più ad avere il numero legale e, di fatto, spetta all’opposizione il compito di garantire o meno lo svolgimento dei lavori. Giovanni Nalin (Sel), dunque, decide di depositare una mozione di sfiducia, contando sul sostegno dei 13 dell’opposizione e di Michele Brusaferro, capogruppo della Lista Piva, con una girandola continua di consiglieri di maggioranza fedeli al sindaco a giorni alterni. Ma, appunto, il blitz dal notaio per le dimissioni in massa taglia la testa al toro e, dopo un primo tentativo fallito, porta all’epilogo, atteso, di queste ore. Lunedì l’ormai ex sindaco aveva detto: «Sono dispiaciuto di non poter condurre in porto partite vicine alla soluzione, ho la coscienza a posto».
Nicola Chiarini – 16 luglio 2014 – Corriere del Veneto