Così, dalla lampada di Aladino di Sergio Mattarella è uscito il genio Mario Draghi. Dire che le aspettative nei suoi confronti siano alte è decisamente riduttivo. Se non lui – divinità che tutti guardano come se volessero conquistarsi una simpatia che non pensano di meritare – chi? Nessuno, certo. Anche se, come spiega Massimo Cacciari in questa intervista a La Stampa, la sua presenza a Palazzo Chigi, accolta con la ola in Europa, certifica in modo definitivo il decesso di un ceto politico incapace di tutto.
Professore, è arrivato il Salvatore della Patria?
«La statura internazionale di Draghi non si discute. Il bene che ha fatto alla patria – chiamiamola ancora così – è evidente. Se in questi anni ci siamo salvati è perché Draghi era alla Bce dove è riuscito a resistere agli assalti di tutte le destre del mondo»
Sarà più difficile fare lo stesso miracolo da Palazzo Chigi che dall’Eurotower.
«La situazione è complicata, questo è sicuro. Tutti scaricano la colpa della crisi su Renzi, perché è evidente che è stato lui a determinarla. Ma da noi il casino è sistematico. L’alleanza Pd-Cinque Stelle-Conte ha sempre fatto acqua da tutte le parti e solo loro possono raccontarsi la leggenda che è arrivato Pierino Porcospino Renzi a rompere le palle».
Chi le ha rotte, rimanendo alla metafora?
«Se le sono rotte da soli. Il Pd non è riuscito neppure a difendere la non linea di un non governo che si è limitato a gestire zone gialle, rosse o arancioni e a dare qualche ristoro in ritardo. Se sono rimasti in piedi è solo grazie all’emergenza sanitaria. I conflitti tra Pd e Cinque Stelle ci sono sempre stati. Solo che li nascondevano sotto il tappeto. Altro che Renzi. Domando: avevano forse deciso qualcosa sul Recovery Plan?».
Poco.
«Niente. E adesso li voglio vedere. Che cosa fanno? Non accolgono l’appello di Mattarella e votano contro Draghi?».
Difficile.
«Improbabile. Il Pd Draghi lo vota di sicuro. Del resto ha votato a favore di qualunque governo. E a favore voteranno anche i responsabili e i costruttori. I Cinque Stelle si lacereranno».
Per votare sì o no alla fine?
«Se dovessi scommettere un euro lo punterei sul sì. Ma il conflitto tra di loro ci sarà di sicuro. E ci sarà pure nel centrodestra. Berlusconi e Forza Italia appoggeranno Draghi cercando di non rompere con gli alleati. Il problema grosso l’avrà la Lega».
Salviniani contro, giorgettiani a favore?
«Giorgetti, giorgettiani e governatori a favore di sicuro. Ma alla fine penso anche Salvini. In genere la Lega prende decisioni compatte. I Cinque Stelle no, si potrebbero sfasciare e tornare all’opposizione dei vaffanculo».
Ricapitolando: Draghi incassa la fiducia.
«Prenderà una larghissima maggioranza. Poi cominceranno gli equilibrismi e i posizionamenti per arrivare all’elezione del Presidente della Repubblica».
Conte non sarà neppure in Parlamento, è politicamente finito?
«Forse no. Ma di sicuro non avrà più la grande visibilità che ha un capo del governo e quindi dovrà decidere se mettersi alla guida dei Cinque Stelle o se fare un suo Movimento alla Macron».
Tra due anni ce lo ricorderemo ancora?
«Se Draghi dura magari no. E sarà un destino meritato. Uno che viene dal niente può anche finire nel niente».
Le mancherà Casalino?
«Non so neanche chi sia».
E Di Maio?
«Esattamente come il nome che mi ha fatto prima. Sono delle nientità che una crisi di sistema ha portato al governo».
Altre pagelle: Zingaretti?
«Ha gestito il Pd in una fase drammatica senza nessuna iniziativa. Se non quella encomiabile di tenere in equilibrio la baracca. Ma è andato a rimorchio e il suo voto non può essere positivo».
Renzi l’iniziativa invece l’ha presa.
«Renzi è diverso, ambiziosissimo, spregiudicato. Ha fatto quello che ha fatto sapendo benissimo che le elezioni non ci sarebbero mai state, per le ragioni che il Presidente Mattarella ha spiegato perfettamente. Ora voterà a favore di Draghi continuando a sparare contro il nulla della politica».
E a che cosa gli servirà?
«Lui crede a molto, io penso a niente. I suoi calcoli sono sbagliati. L’idea che possa guidare una formazione politica minimamente rappresentativa è fantapolitica».
Chi rivedremo di questa maggioranza alle prossime elezioni?
«Mi auguro nessuno. Mi dispiacerebbe solo per Zingaretti, che si è trovato a guidare un partito non suo e ha navigato in mezzo a un mare di sfighe».
Le è piaciuto il discorso del presidente Mattarella?
«Molto. Un discorso, netto, chiaro, che ha spiegato bene perché non è ricorso al voto e ha cercato la strada di un governo prestigioso».
Un governo di soli tecnici?
«Penso proprio di sì. Di altissimo profilo. E senza nessuna interferenza politica. Naturalmente, essendo intelligente, Draghi terrà conto delle diverse sensibilità, affidandosi però unicamente a dei supercompetenti. Posso fargli io una lista se crede».
C’è anche lei in quella lista?
«Figuriamoci. In politica mi detestano dal primo all’ultimo. Io stesso sconsiglierei la mia presenza. Ma consiglierei quella di Cottarelli per la spending review e cercherei di trattenere il ministro Lamorgese a tutti i costi».
Non è che alla fine questa crisi si sia rivelata la cosa migliore che ci potesse capitare?
«No. Non è la cosa migliore. Anzi, direi la cosa meno augurabile».
Perché?
«Perché è la dimostrazione dell’impotenza e della incapacità di chi ci dovrebbe guidare. E temo che quando usciremo da questo disastro e dall’emergenza sanitaria si apriranno delle praterie per ogni iniziativa populistica immaginabile. Draghi in questo momento è perfetto, ma in prospettiva è la testimonianza notarile della catastrofe del ceto politico».
Professore, chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica?
«Magari proprio Draghi. Se affronta con determinazione la crisi, spende bene i soldi del Recovery, crea le condizioni per una ripresa del pil e impedisce che l’occupazione vada a picco, diventa il candidato naturale al Colle. O per tornare alla sua prima domanda, il Salvatore della Patria a cui la patria si affiderà». —
LA STAMPA