Chi ha colpo d’occhio lo può notare nei supermercati più attenti all’esposizione delle merci: nelle corsie traboccanti di prodotti c’è uno spazietto che non si riesce mai del tutto a riempire, a volte è persino sfornito se non deserto. È quello riservato alle uova. Mese dopo mese, stanno scomparendo gradualmente. Certo, qualche confezione c’è quasi dappertutto, ma si tratta di poche unità accanto alle decine e decine di cartoni del latte, o di pacchi di riso e pasta. Molto meno rispetto allo spazio previsto.
È un fenomeno che accade in tutta Italia e Verona non fa eccezione: le uova sono calate nei due Esselunga, al Pam di via dei Mutilati, nei punti vendita della catena Auchan. E, se possibile, ancora di più nei piccoli negozi a conduzione familiare.
Ma se questo succede dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, Verona è doppiamente coinvolta in qualcosa che mostra tutti i sintomi di una crisi di mercato, a partire da un aumento dei prezzi alla produzione. La provincia, infatti, è tra le prime produttrici di uova in Italia. Solo il Veneto ne produce il 22% del totale nazionale (è secondo dopo la Lombardia), ma l’industria avicola è concentrata quasi del tutto tra il Veronese e il Padovano. E la carenza di uova al dettaglio è solo l’ultimo tassello di un anno nero per gli allevatori della zona.
La prima ragione? L’aviaria. Anche se la notizia non è arrivata ai media nazionali: il 2017 è stato l’anno peggiore da quando circola il virus. Decine i focolai in provincia: ognuno di essi è costato centinaia di capi soppressi, anche se gli animali trovato ammalati quasi sempre non sono mai più di due o tre. Ma quel che spaventa maggiormente gli allevatori è il cordone sanitario che ne consegue, che ha la funzione di evitare che il virus si propaghi. Ad ogni contagio, in un raggio di circa trenta chilometri viene istituita una zona di ulteriore restrizioni (Zur) dove viene interdetto per un lungo periodo l’accasamento, ossia la sostituzione di animali. «Una procedura necessaria, ma che porta inevitabilmente al calo dei capi presenti – nota Renato Rossi, presidente dell’Associazione veneta allevatori – manca un rinnovo della popolazione. E inevitabilmente ci sono ritardi nei rifornimenti». Ma c’è da fare i conti anche con lo scandalo del Fipronil, l’insetticida che ha contaminato alcune partite, specie di provenienza olandese.
La Coldiretti calcola che mancano al conteggio circa cento milioni di uova a livello italiano. Un crollo produttivo enorme, superiore al 10%. Ed è già allarme sulla filiera che include pastifici artigianali e aziende dolciarie (due specialità veronesi, peraltro). L’uovo è anche l’ingrediente del panettone e del pandoro, e si prospetta un Natale impegnativo. L’aumento dei prezzi, per il momento, è aumentato soprattutto al dettaglio. Claudio Valente, presidente di Coldiretti Verona, parla del 55% alla produzione, un record. «Pesa per quattordici euro ogni cento uova – spiega – ma non è l’unico prodotto ad essere scarso. Ci sono flessioni anche nelle mele, nelle olive e nel vino. La produzione di miele è calata addirittura del 50%». C’è infine un’ultima causa: i consumatori premiano sempre di più le uova biologiche. Quasi tutti i grossisti, ormai, non comprano più quelle provenienti da galline in batteria: si pretende l’allevamento a terra. «A Verona si sono adeguati quasi tutti – dice uno dei maggiori allevatori, Nicola Scapini, un milione di capi a Isola della Scala – con un investimento che in larga parte non è ancora stato ripagato. A noi torna in tasca pochissimo: ora è impossibile produrre uova a meno di 13 centesimi, ma sugli scaffali se ne trovano anche a dieci: evidentemente ci sono molti prodotti esteri non adeguatamente tracciati».
Il Corriere di Verona – 12 novembre 2017