Lessinia. La paralisi interna alla Comunità e la minaccia di dimissioni di Melotti non aiutano a risolvere i problemi. Il Piano ambientale contiene risposte non più rimandabili alla modifica della fauna con il ritorno dei grandi predatori
I cinghiali sono una specie non autoctona, in crescita nel Parco A quasi vent’anni dalla loro approvazione, le norme di attuazione del Piano ambientale del Parco della Lessinia sono state oggetto di discussione e nuova stesura attraverso una variante che però pare impossibile adottare perché finora sono sempre mancati i numeri sufficienti per un Consiglio integrato di Comunità montana e Parco che le potesse presentare e sottoporre a votazione. Gli articoli più controversi riguardano le norme per le zone di riserva naturale orientata in particolare il 38 e il 39 sulle strade e la costruzione di nuove arterie, tema affrontato ieri in un precedente servizio su L’Arena, e l’articolo 42 sulla tutela della flora e della fauna. La norma vigente vieta ogni attività venatoria e di pesca all’interno del Parco. La bozza di revisione, presentata dal presidente Claudio Melotti ai sindaci e ai consiglieri, accoglie questa formulazione dell’articolo 42 e specifica che sono vietati la cattura, l’uccisione, il danneggiamento e il disturbo di tutti gli animali vertebrati ed invertebrati, con una formulazione più corretta e puntuale. Aggiunge che non è consentito usare fonti luminose idonee alla ricerca notturna della fauna selvatica, salvo per gli addetti alla vigilanza e gli autorizzati dall’ente gestore per i censimenti e i monitoraggi faunistici. Il piano prevede il divieto dell’uso di cani segugi fino a una fascia di 200 metri all’esterno del Parco. Il divieto è mantenuto ma ci sono novità importanti, in considerazione del fatto che vent’anni di area protetta hanno portato a una profonda modificazione dell’ambiente naturale dal punto di vista della presenza di fauna selvatica. Ci sono stati il ripopolamento di caprioli, l’arrivo di camosci e cervi, l’introduzione e la proliferazione di cinghiali e marmotte, l’arrivo spontaneo dei grandi predatori (aquila, lupo e orso), alcuni dei quali sono diventati stanziali nel territorio dell’altopiano e nell’area del Parco. Un piano ambientale corretto, attento alle modificazioni dell’ambiente non poteva non tenerne conto e la bozza viene incontro anche alla fruizione di chi non è cacciatore, indicando che l’introduzione di cani di qualsiasi razza, meticci compresi, è consentita esclusivamente se tenuti al guinzaglio, ma la norma non si applica ai cani ausiliari di forze di polizia, del soccorso alpino e della Protezione civile, ma anche ai cani pastore utilizzati durante la stagione dell’alpeggio. L’ultimo comma dell’articolo 42 introduce anche la novità di prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi che finora erano vietati, e li giustifica «per ricomporre comprovati squilibri ecologici». Naturalmente devono avvenire in conformità ad apposite direttive emanate dall’ente gestore del Parco, sentito il Comitato tecnico scientifico. Il riferimento è in particolare ai cinghiali, specie non autoctona che la Regione autorizza a debellare da tutto il territorio ma non nel Parco dove finora prevale il principio della massima tutela a flora e fauna esistente. «Il problema non è più rinviabile perché oltre a un danno il cinghiale rappresenta anche un pericolo per la presenza a ridosso delle contrade, per questo ho deciso di dare un’accelerazione al piano ambientale e chiedere alla Regione la possibilità di abbattimenti in deroga», ha annunciato Melotti. Con il Piano ambientale adottato tutto sarebbe più semplice, ma veti incrociati per ripicche e sgambetti fra gli stessi consiglieri di maggioranza hanno finora impedito di portare a termine un anno e mezzo di lavori.
L’Arena – 7 luglio 2012