La politica fiscale in Italia ha assicurato negli anni un gettito «di rilevanti dimensioni», ma «non si è dimostrata efficace nel rafforzare strutturalmente il sistema tributario», per sottrarlo ai vincoli che lo spingono a cercare nuove fonti di entrata e soprattutto creare «i presupposti per una redistribuzione del prelievo nel quadro di una riduzione della pressione fiscale». E per tagliare finalmente le tasse, sottolinea la Corte dei conti nel Rapporto sulla finanza pubblica, non resta che tagliare le spese. Magari cominciando proprio da quelle «fiscali», quindi dalla revisione di detrazioni, agevolazioni e trattamenti di favore.
Se è riuscito a tenere in equilibrio i conti pubblici, ormai il peso delle tasse è arrivato a schiacciare l’attività economica, oltre a creare «limiti e distorsioni». La pressione fiscale al 42,5% è tra le più alte della Ue, ma l’incidenza fiscale complessiva sulle medie imprese in Italia è del 68,4%, 25 punti oltre la media europea. Il solo cuneo fiscale, per un dipendente medio dell’industria, cioè la differenza tra il costo del lavoro a carico dell’impresa e il netto in busta paga dei lavoratori, è del 49% ed eccede di 10 punti la media Ue. I costi di adempimento degli obblighi tributari sono pari a 269 ore lavorative, il 55% in più rispetto ai concorrenti europei. Altra stortura è quella dell’erosione dovuta alle agevolazioni fiscali: da noi valgono 8 punti di Pil, contro una media europea di 2,5 punti. Da anni ci si propone di tagliarle per recuperare spazi per l’abbattimento delle imposte, e invece di diminuire, con ogni crisi, le agevolazioni a categorie particolari di contribuenti, aumentano. «L’esigenza di ridurre la pressione fiscale non è mutata, ed è un obiettivo raggiungibile solo attraverso un ridimensionamento della spesa» dicono i magistrati contabili.
Il giudizio della Corte sull’andamento dei conti, in compenso, è positivo. Dopo qualche incertezza sembra esserci stata un’«inversione di marcia verso un’espansione meno fragile e più qualitativa» si legge nel Rapporto. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, conferma. «La crescita ha ripreso vigore, per il 2017 ci sono segnali molto incoraggianti» ha detto, confermando l’impostazione della prossima manovra. «Il governo — ha detto — lavora al progressivo consolidamento dei conti con un sostegno ai redditi e all’occupazione. È un sentiero stretto, ma più facile delle scorciatoie che qualcuno evoca».
Il vero problema della finanza pubblica italiana, dice la Corte, resta il debito, ma per risolverlo serve la crescita. Le privatizzazioni, anche se le partecipazioni ammontano a 94 miliardi, «non potranno offrire un contributo determinante». Altra nota critica riguarda la sanità. I «buchi» della spesa regionale sono un ricordo del passato, il sistema ha trovato un suo equilibrio ed è stato capace di «assorbire inefficienze e squilibri».
Ma restano ritardi e inefficienze, e la spesa privata dei cittadini per la sanità è in crescita, anche se qualcuno non ce la fa a sostenerla. «L’attuale struttura di assistenza sanitaria» non appare «sufficiente a rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana, affetta da cronicità e con oltre 2,5 milioni di non autosufficienti».
Mario Sensini – Il Corriere della Sera – 6 aprile 2017