“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (Costituzione, articolo 1)
“Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione” (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948)
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (Costituzione, articolo 32)
Il Primo maggio è la festa dei lavoratori, una giornata che celebra le battaglie necessarie per conquistare diritti fondamentali. Diritti che in alcune aree del pianeta sono ancora sconosciuti e che oggi in tanta parte del mondo occidentale, compresa l’Italia, sono sempre più a rischio.
Gli operatori e i professionisti sanitari hanno dimostrato e dimostrano ogni giorno quanto il lavoro in sanità sia essenziale e quanto un sistema sanitario nazionale pubblico forte ed efficiente non sia un costo ma un investimento per la sopravvivenza e il buon funzionamento del nostro Paese.
Nella Giornata che celebra i lavoratori, vogliamo ricordare qui, ancora una volta, che la sanità è il baluardo della società, la colonna portante della collettività, e tutto questo è possibile grazie all’impegno e al lavoro di decine di migliaia di medici, veterinari, infermieri, tecnici e altri operatori sanitari che, insieme, nonostante organici sempre più sottodimensionati e investimenti ridotti, sostengono un servizio fondamentale per la salute delle persone e delle famiglie.
Il Sivemp Veneto augura a tutti i lettori un buon Primo maggio!
Primo maggio 2024
Gli approfondimenti
Violenza nei confronti degli operatori sanitari, gli ultimi dati dell’Inail presentati al Ministero della Salute
Nel corso dell’evento organizzato a Roma per celebrare la terza Giornata di educazione e prevenzione sono stati illustrati anche i risultati del secondo monitoraggio effettuato dall’Osservatorio nazionale istituito nel 2022
In occasione della terza edizione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari, che dal 2022 viene celebrata ogni anno il 12 marzo, gli ultimi dati dell’Inail su questo fenomeno sono stati presentati a Roma nel corso del convegno che si è svolto presso la sede del Ministero della Salute di Lungotevere Ripa, alla presenza del ministro Orazio Schillaci, del commissario straordinario dell’Inail, Fabrizio D’Ascenzo, della presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, Martina Semenzato, e del sottosegretario di Stato alla Salute, Marcello Gemmato.
Schillaci: “Siamo impegnati per rafforzare le misure di protezione”. “Questa ricorrenza – ha detto il ministro – ha una valenza significativa che però non esaurisce quella che è la nostra attenzione alla sicurezza dei medici, degli infermieri e di tutti gli operatori socio-sanitari, che hanno il diritto di poter lavorare senza temere per la propria incolumità. I dati, purtroppo, raccontano storie di donne e uomini che hanno subito aggressioni che comportano sofferenza, paura di tornare al lavoro, ricadute emotive e psicologiche e, nei casi più tragici, lutti e dolore per le famiglie”. Dopo aver ricordato l’omicidio della psichiatra Barbara Capovani, avvenuto a Pisa quasi un anno fa, Schillaci ha sottolineato l’importanza delle ultime norme introdotte a tutela degli operatori sanitari, “dalla procedibilità d’ufficio per gli autori delle aggressioni all’inasprimento delle pene, insieme al potenziamento dei presidi di polizia negli ospedali. Il Ministero della Salute, inoltre, è impegnato direttamente nel rafforzare le misure di protezione attraverso l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, che abbiamo immediatamente convocato subito dopo il mio insediamento. In quell’occasione ho chiesto di efficientare le attività di monitoraggio, prevenzione e formazione”.
D’Ascenzo: “Dall’analisi del fenomeno indicazioni utili per sviluppare strategie efficaci”. “Questa Giornata – ha spiegato D’Ascenzo – è frutto dell’impegno costante che il Ministero della Salute e l’Inail hanno portato avanti nel corso del tempo. La raccolta dei dati su questo fenomeno particolarmente odioso ci mette nelle condizioni di individuarne le cause e sviluppare le strategie più efficaci per prevenirlo”. Da parte dell’Istituto, ha aggiunto il commissario straordinario, “c’è l’impegno a proseguire in questa direzione, approfondendo ulteriormente le analisi e definendo protocolli per aiutare il personale sanitario. È altrettanto importante, però, puntare sempre di più sulla sensibilizzazione delle persone per valorizzare la dedizione degli operatori sanitari, che spesso operano in condizioni molto difficili, e far capire che sono lì per aiutarci, non certo per sfavorirci”.
Nel triennio 2020-2022 registrati circa seimila casi. Come evidenziato da Silvia D’Amario, coordinatrice generale della Consulenza statistico attuariale (Csa) dell’Inail, nel 2022 i casi di violenze, aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario accertati dall’Istituto sono stati 2.243, in aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Si tratta soprattutto di episodi di violenza esercitata da persone esterne all’azienda (reazioni da parte dei pazienti o dei loro familiari) e, in minor misura, di liti e incomprensioni tra colleghi. Nel triennio 2020-2022 i casi di violenza nella sanità e assistenza sociale sono stati circa seimila, con un’incidenza del 41% rispetto a tutti quelli registrati nello stesso periodo tra i lavoratori dell’Industria e dei servizi. Circa il 70% ha riguardato le donne, mentre per entrambi i generi il 39% interessa personale socio-sanitario tra i 50 e i 64 anni (per le donne la quota sale al 40%), poco più del 36% tra i 35 e i 49 anni, il 23% fino a 34 anni e l’1% oltre i 64 anni.
Quasi un episodio su tre nel Nord-Ovest. La categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta in violenze e aggressioni, con circa il 41% del totale, seguita dalle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali (27%) e da quella dei servizi personali e assimilati (13%). Più distaccata, con il 3,5% dei casi di aggressione in sanità, la categoria dei medici, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i medici di base e i liberi professionisti. Quasi un’aggressione su tre è avvenuta nel Nord-Ovest (17% in Lombardia e 8% nel Piemonte), il 28% nel Nord-Est (14% in Emilia Romagna e 9% in Veneto), il 22% nel Mezzogiorno (7% in Sicilia e 5% in Puglia) e il 19% al Centro (9% in Toscana e 6% nel Lazio). Circa il 59% dei casi ha comportato una contusione, il 22% una lussazione, distorsione e distrazione, l’8% una frattura e il 7% una ferita. La principale sede del corpo coinvolta nelle violenze è la testa (13% faccia, 9% cranio, 4% naso), seguita da parete toracica (9%), cingolo toracico (8%), polso (7%) e colonna vertebrale/cervicale (6%).
Gli identikit di aggrediti e aggressori. L’identikit principale della vittima tracciato dalla Sovrintendenza sanitaria centrale dell’Inail, sulla base dei dati forniti dalla Csa, è quello di una donna di età compresa tra 51 e 60 anni, di nazionalità italiana, che vive in Lombardia o Emilia Romagna, lavora come operatore socio-sanitario o infermiera in struttura ospedaliera o in Rsa, prevalentemente in ambito psichiatrico o dell’emergenza/urgenza, ha subito violenza fisica, colpita con pugni o calci o con afferramento, ha riportato contusioni con assenza per malattia mediamente di 22 giorni e, nella quasi totalità dei casi, menomazioni micropermanenti valutate fino al 5%. Un ulteriore identikit dell’aggredito è quello dell’educatore professionale che opera in strutture diverse come gli istituti scolastici, le comunità socio-educative e le case circondariali, che rappresenta la terza figura maggiormente oggetto di episodi di violenza. L’aggressore, invece, è una persona assistita affetta da disabilità intellettiva o psichica o in stato di agitazione.
Ridurre burocrazia e tempi di attesa per migliorare la prevenzione. L’analisi qualitativa presentata dal sovrintendente sanitario centrale dell’Istituto, Patrizio Rossi, ha consentito anche di rilevare alcuni spunti propedeutici ad azioni di prevenzione. La complessa relazione tra l’operatore sanitario, i pazienti o i loro familiari, dalla quale possono sfociare episodi di aggressione, può essere migliorata per esempio attraverso procedure organizzative volte a ridurre la burocrazia e i tempi di attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, ad aumentare e rendere più puntuale l’informazione e a incrementare la partecipazione, con l’eliminazione di barriere culturali e linguistiche. Fondamentale, inoltre, è lo sviluppo di ulteriori indagini qualitative su questo fenomeno ancora fortemente sottostimato.
Nel monitoraggio dell’Onseps oltre 16mila segnalazioni. Con l’obiettivo di fornire un quadro informativo ancora più completo, che comprenda oltre alle aggressioni fisiche anche quelle verbali e contro la proprietà degli operatori sanitari, l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (Onseps), istituito nel 2022 presso il Ministero della Salute con specifici compiti di studio e promozione di iniziative di prevenzione, ha effettuato un monitoraggio da cui emerge che l’anno scorso le segnalazioni complessive di aggressioni a operatori sanitari sull’intero territorio nazionale (a esclusione della Sicilia, che non ha trasmesso i dati) sono state oltre 16mila, per un totale di circa 18mila operatori coinvolti. Nel 68% dei casi si è trattato di aggressioni verbali, mentre il 6% è avvenuto contro beni di proprietà del professionista sanitario aggredito.
Pronto soccorso e aree di degenza i luoghi più a rischio. In linea con i dati rilevati dall’Inail e con la composizione di genere del personale sanitario, a segnalare due terzi di queste aggressioni sono state professioniste donne e gli aggressori principalmente utenti/pazienti. Le fasce d’età più colpite sono quelle tra i 30-39 anni e tra i 50-59 anni. La professione più interessata è quella degli infermieri, seguita da medici e operatori socio-sanitari, mentre i luoghi più a rischio sono risultati essere i pronto soccorso e le aree di degenza. Per quanto riguarda la formazione degli operatori sanitari, che rappresenta una delle misure di prevenzione, nel corso di quest’anno partiranno attività formative secondo gli standard minimi individuati dall’Onseps in collaborazione con l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Come ha spiegato Claudio Costa, coordinatore dell’area tecnica risorse umane della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, un altro elemento di criticità è rappresentato dalla carenza di risorse umane, individuata come prima causa da rimuovere per combattere il fenomeno delle aggressioni ai danni del personale sanitario. Questa misura va associata con altri interventi organizzativi che consentano agli operatori di non lavorare da soli, soprattutto nelle situazioni a maggior rischio. (Fonte Inail).
Morti sul lavoro, oltre mille vittime in Italia nel 2023: i dati Inail
E’ quanto emerso dagli Open data diffusi dall’Istituto e relativi allo scorso anno. Il rapporto ha segnalato che le denunce di infortunio sul lavoro presentate tra gennaio e dicembre sono state 585.356 (-16,1% rispetto al 2022), 1.041 delle quali con esito mortale (-4,5%). In aumento, invece, sono risultate le patologie di origine professionale denunciate: 72.754 pari ad un +19,7% rispetto al 2022
Nel 2023 è stato registrato, rispetto a dodici mesi prima, un netto calo delle denunce di infortunio sul lavoro nel complesso, un calo di quelle mortali e una crescita delle malattie professionali. Sono questi i dati principali diffusi dall’Inail negli Open data relativi allo scorso anno, da cui è emerso che le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto tra gennaio e dicembre sono state 585.356 (-16,1% rispetto al 2022), 1.041 delle quali con esito mortale (-4,5%). In aumento, invece, sono risultate le patologie di origine professionale denunciate: 72.754 pari ad un +19,7% rispetto al 2022.
I casi mortali sul lavoro
Le denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate all’Istituto nel 2023 sono state, come detto, poco più di mille, cioè 49 in meno rispetto alle 1.090 registrate nel periodo gennaio-dicembre 2022, 180 in meno rispetto al 2021, 229 in meno rispetto al 2020 e 48 in meno rispetto al 2019. A livello nazionale i dati hanno fatto segnalare un calo che ha riguardato in particolare l’Industria e i servizi (da 936 a 884 decessi rispetto al 2022), mentre il settore dell’agricoltura segnala un lieve aumento da 118 a 119 e il Conto Stato da 36 a 38. I casi sono diminuiti nel Nord-Ovest (da 301 a 270), nel Nord-Est (da 245 a 233) e al Centro (da 225 a 193) mentre incrementi sono stati registrali al Sud (da 235 a 255) e nelle Isole (da 84 a 90). Le regioni che hanno fatto riportare i maggiori aumenti sono Abruzzo (+15), Friuli-Venezia Giulia (+12) e Sicilia (+5), mentre i cali più consistenti sono stati registrati in Toscana (-21), Piemonte (-18) e Veneto (-12). La flessione rilevata tra il 2022 e 2023 è legata sia alle donne, i cui casi mortali denunciati sono diminuiti da 120 a 86, sia gli uomini, da 970 a 955.