Stop al turnover, medici e veterinari che vanno in pensione non sostituiti, metà dei precari licenziati. È il quadro durissimo disegnato dalla manovra finanziaria. Per fortuna, però, mentre noi guardiamo con preoccupazione a un futuro, non lontano, di ospedali sguarniti e servizi in sofferenza a causa dei tagli draconiani operati dal Governo, ecco arrivare una “bella notizia”: ci sono i pensionati a tener alte le sorti della sanità veneta. Cronache ammiccanti di questi giorni ci raccontano che i “riservisti richiamati” costano molto meno dei dipendenti, sono pagati come liberi professionisti e rappresentano per le Asl un bel risparmio, visto che non bisogna pagargli i contributi previdenziali.
Ma non basta: dopo questa bella trovata (era così semplice: strano non averci pensato prima!) i commenti si sprecano e veniamo a scoprire che sono i giovani che, ahimè, si iscrivono sempre meno a medicina e veterinaria e alle specializzazioni (“i giovani non vogliono specializzarsi”!). In Veneto, dice l’assessore regionale Luca Coletto, ci sono poche facoltà mediche, andrebbero potenziate. Fermi tutti: senz’altro ci siamo persi qualcosa. Perché gli accessi universitari a medicina e veterinaria sono contingentati da anni attraverso i famigerati test. E lo sono anche quelli alle scuole di specialità.
E allora? È senz’altro vero che alcune branche mediche attirano oggi un numero non elevato di specializzandi (per molti motivi che andrebbero analizzati) ma di qui a usare quelli che appaiono più che altro come errori di pianificazione e previsione formativa per giustificare il mancato ingresso al mondo del lavoro di migliaia di professionisti, ce ne corre. Senza dimenticare che, per ovviare al problema, ci vorrebbe anche una programmazione reale in sanità pubblica, di cui, a tanti anni dall’ultimo Pssr, si è persa memoria e traccia.
Non nascondiamo il nostro allarme davanti all’utilizzo di tanti “luminari” settantenni. Siamo davvero convinti che sia questo il “futuro” della sanità pubblica veneta e non solo?
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