Le spese per le cure all’estero verranno rimborsate, escluso il viaggio
Siete in giro per l’Europa, per lavoro oppure in vacanza, e avete la ricetta per il medicinale che siete costretti a consumare con regolarità. Il foglietto è firmato dal vostro medico di famiglia e questo vi conforta. Tutto bene? Forse no. Le possibilità che in una farmacia di Madrid, Parigi o Riga non riconoscano il documento sono decisamente alte. Ne consegue che potreste trovarvi costretti a cercare un dottore che vi capisca per ottenere la pasticca di cui avete bisogno. Brutta storia. Una di quelle che possono facilmente trasformare una normale trasferta all’estero in qualcosa di molto simile a un incubo.
Al massimo da metà 2013 non ci saranno più problemi. Dopo anni di discussioni, l’Europarlamento ha chiuso la direttiva sui diritti dei pazienti per l’assistenza sanitaria transfrontaliera comunitaria. La norma riordina il quadro delle regole che sovrintendono il ricorso alle cure mediche fuori dal proprio paese, fenomeno certo importante per molti singoli, sebbene di scarsa rilevanza globale, visto che le cure fuori dai confini nazionali assorbono appena l’uno per cento della spesa sanitaria dell’Ue.
L’Europa ci prova. Il principio è che ogni cittadino ha diritto a una adeguata assistenza sanitaria in qualunque paese dell’Ue si venga a trovare. La nuova direttiva riguarda però solo le persone che scelgono di farsi ospedalizzare all’estero: per chi abbia bisogno di un trattamento urgente mentre viaggia per il continente, continuerà a valere la tessera di assicurazione malattia. In questo caso, e nell’emergenza, un turista sarà assistito come se fosse a casa propria, sulla base di un accordo fra i sistemi sanitari nazionali.
Differente è la situazione per di chi debba subire un’operazione che nel suo paese non è possibile, oppure soffre di un malanno raro o ancora abbia urgenza di essere curato e nel suo paese la lista di attesa sia lunga. Le norme appena varate prevedono il diritto di andare all’estero, di pagare l’intervento e di ottenere il rimborso in misura pari a quello che avrebbe avuto in casa. Esempio: un torinese deve farsi operare; chiede a un ospedale cittadino e questo lo accetta in un tempo differito; non può aspettare e decide di correre in Francia; paga di tasca sua; una volta a casa è rimborsato dall’Asl in base al tariffario nazionale. La differenza è a suo carico.
Il riequilibrio dei pagamenti è stato imposto dal frequente turismo ospedaliero che scaricava su sistemi sanitari più poveri le alte rette di ospedali di paesi più ricchi. Ora ogni paese sborsa il dovuto, mentre il sovrapprezzo spetta al cittadino. Il quale, secondo la direttiva, dovrà comunque chiedere un’autorizzazione preventiva per i trattamenti. Ogni rifiuto dovrà però essere giustificato in dettaglio e dovrà avere ragione di essere. Il paziente avrà possibilità di chiedere il riesame della decisione. Se però un determinato trattamento non fosse disponibile in un certo paese, non vi è la possibilità di chiudere la porta degli ospedali a chi chiede di essere curato. Difficile? Per venire incontro ai cittadini, l’Ue ha deciso la creazione di un «punto di contatto» in ogni paese, una sorta di servizio destinato a fornire informazioni, e anche assistenza, ai pazienti che si curano all’estero. I consumatori protestano per il fatto che i tempi di rimborso non sono quantificati. Era stato proposto, i governi non hanno voluto.
Lastampa.it
22 gennaio 2011