Nel 2012 il Brasile ha riconquistato il primo posto mondiale nel ranking dei maggiori esportatori di carne, anche se per l’anno in corso gli analisti prevedono il sorpasso da parte di una potenza con scarsa tradizione nel settore, come l’India. Secondo dati del Dipartimento di Agricoltura degli Stati uniti, il Paese sudamericano lo scorso anno ha esportato un milione e 520mila tonnellate di carni – per un aumento del 13,8 per cento rispetto al 2011 – e riconquistato la prima posizione in classifica a scapito dell’Australia. Ma nonostante il successo di un comparto che assicura enormi profitti, le preoccupazioni non mancano. E molti italiani sognano di acquistare una grande fazenda produttiva, magari a costi non proibitivi
Non tanto per le teorie ecologiste che vedono l’allevamento del bestiame come minaccia esiziale al futuro del pianeta, che a queste latitudini hanno una forza di attrazione inferiore rispetto a quanto avviene in Europa. Quanto piuttosto per la crisi economica, e la caparbietà della Cina nel sottoporre ad embargo totale la locale produzione bovina, qual conseguenza di un caso di morbo della mucca pazza (encefalopatia spongiforme bovina – bse), riscontrato lo scorso anno in Paranà.
Come noto a ogni osservatore internazionale, i Governi del mondo intero prendono a pretesto ogni altrui infortunio igenico-sanitario, per tornare ad innalzare barriere protezionistiche. E l’atteggiamento cinese non fa eccezione, specie alla luce delle gravi frodi alimentari verificatesi nel Paese asiatico: casi che avrebbero dovuto spostare l’ago della bilancia – almeno nell’ottica dei brasiliani – verso la merce importata, rispetto alla produzione interna. (L’ultimo scandalo ha riguardato la vendita di carni di topo e volpe, spacciati come agnelli, nda).
Secondo l’Abiec (Associação brasileira das indústrias exportadoras de carne), nel 2012, in termini di fatturato, gli esportatori brasiliani di carne hanno battuto il record di sempre, stabilito nel 2008: hanno venduto merci per un totale di 5miliardi e 77milioni di dollari, pur non superando, in volume, i quantitativi del 2007 (1milione e 620mila tonnellate).
Ma a sorprendere gli osservatori, più che l’exploit brasiliano, sono stati i dati relativi all’export del Gigante indiano, che nel 2012 ha sorpassato l’Australia come secondo esportatore mondiale, e nel 2013 dovrebbe vendere 1milione e 700mila tonnellate di prodotto, a fronte del milione e 600mila di provenienza verdeoro.
La produzione ‘made in India’ è in realtà inferiore alla metà di quella brasiliana, tuttavia alla luce degli scarsi consumi interni, la maggior parte di essa è destinata ai mercati stranieri. I produttori sudamericani non sono tuttavia preoccupati, convinti che l’export asiatico – rivolto ad altri mercati, che prediligono prodotti differenti – non abbia influenza sulle vendite nazionali. In particolare, come riferisce il direttore esecutivo dell’Abrec, Fernando Sampaio, la gran parte delle esportazioni dall’India riguarda insaccati di bufalo, venduti – a prezzi bassissimi per il produttore brasiliano – ai Paesi asiatici musulmani. Divergenti gli obiettivi degli allevatori brasiliani, che puntano alle platee di consumatori che prediligono prodotti di alto valore aggiunto.
Tutta l’attenzione è rivolta ai ricchi mercati di Unione europea, Giappone e Corea del sud, cosa che ha sollecitato l’interesse di aspiranti investitori in tutto il mondo: anche molti italiani sognano di acquistare una fazenda ed entrare in un business che, crisi permettendo, si annuncia come uno dei più lucrosi.
Sulla questione abbiamo chiesto il parere di Stefano Ravanelli, vicepresidente di Assoibra (Associazione italiani in Brasile – Associação italianos no Brasil), l’organizzazione che da decenni fornisce consulenza alle aziende del Belpaese che mirano ad affermarsi nel mercato verdeoro.
Ci parla del lavoro della vostra associazione al lato degli italiani che aspirano a creare imprese produttive in Brasile?
La nostra associazione, di diritto brasiliano, opera in Brasile dal 1990, ed è un punto fondamentale per tutti coloro, privati, imprenditori o aziende, che abbiano interesse nell’intraprendere attività in Brasile. Assoibra assiste l’associato passo passo, curando tutti gli aspetti giuridici e burocratici, offrendo soluzioni ‘chiavi in mano’, personalizzate secondo le proprie necessità.
Considerando il cosiddetto «custo Brasil», gli elevati costi di produzione e l’inflazione galoppante, non crede che questa sia forse la peggior congiuntura per tentare l’avventura imprenditoriale in Brasile?
Assolutamento no! Al contrario il Brasile, ma più specificatamente gli stati confederati, in questo momento offrono agli imprenditori stranieri numerose agevolazioni, non solo in termini di detassazione e defiscalizzazione, ma anche a livello di creazione delle infrastrutture necessarie per l’impresa. Infatti è di pochi giorni fa un accordo bilaterale stipulato tra il Governo del Mato grosso do sul, rappresentato dal governatore André Puccinelli, e le nostre Confagricultura e Federpesca, presso il Ministero dello Sviluppo economico in Roma. Naturalmente l’imprenditore, per poter accedere ai vari incentivi, deve presentare un progetto e un piano industriale seri. La nostra tecnologia, il nostro know-how, la nostra professionalità e esperienza, incontrano porte spalancate in questo Paese.
Come definire il sogno di molti italiani di acquistare una grande fazenda produttiva, magari a costi non proibitivi?
Ebbene, le opportunità in questo settore non mancano. Naturalmente, come in tutti gli affari, va valutato non solo l’aspetto economico pur vantaggioso, ma anche tutti gli altri aspetti in questione: clima, territorio, personale, portafoglio clienti, produttività della fazenda, eccetera eccetera. Per il resto, molti italiani hanno già investito in questa attività con notevole profitto.
Solo un sogno, oppure uno straniero può essere in grado di sostenere simili unità produttive? Tenendo conto anche dell’illegalità piuttosto diffusa nelle zone agricole dell’interno…
La conoscenza e l’esperienza acquisita negli anni danno ai nostri imprenditori un vantaggio notevole, in grado di sostenere qualsiasi attività. Per quanto concerne l’illegalità, i governi municipali e statali tutelano in toto l’investitore straniero che presenta e realizza un progetto serio, in grado di offrire lavoro sul territorio.
Le viene in mente qualche dritta per gli importatori di carne brasiliana, affinché sopravvivano alla giungla di norme che solitamente regolano questo tipo di commerci?
Le normative igienico-sanitarie imposte dal Governo federale brasiliano e da tutti i Paesi del Mercosul che regolano questo tipo di commercio sono ormai quasi, se non del tutto, identiche a quelle dell’Unione europea. La tracciabilità delle carni è ormai regolarmente applicata, e quindi reputo che i nostri imprenditori non abbiano necessità di nessun altro consiglio, che non sia l’invito al rispetto delle norme che già sono tenuti a rispettare in Italia o in Europa.
L’Indro – 20 maggio 2013