L’alleanza università-servizio sanitario nazionale non s’ha da fare. Almeno per il momento. La possibilità contenuta nella legge di stabilità per il 2016 di incorporare le aziende ospedaliere universitarie nelle aziende sanitarie locali, infatti, continua a sembrare una coperta troppo corta per tutti, mondo accademico ma soprattutto componente ospedaliera.
La disposizione
La norma è chiara e dispone per le Regioni e Province autonome senza piano di rientro che nell’ultimo biennio hanno riorganizzato o cominciato a riorganizzare accorpamenti di aziende sanitarie, la possibilità di costituire appunto aziende uniche che incorporino il modello ospedaliero-universitario nelle Asl, tramite protocolli di intesa con le università. Il tutto con l’obiettivo di migliorare le sinergie e produrre risparmi.
Il precedente nella legge Gelmini
In realtà il principio aveva il precedente in un articolo (mai attuato) della riforma dell’università targata Gelmini (l. 240/10) secondo il quale, entro 120 giorni dall’entrata in vigore di quella legge, i due ministeri vigilanti, Miur/Salute, avrebbero dovuto emanare uno schema-tipo di convenzione a cui avrebbero dovuto riferirsi le università e le regioni per regolare, appunto, i rapporti in materia di attività sanitarie.
La Stabilità riporta in vita quel principio ma ne riserva l’attuazione solo alle regioni particolarmente virtuose, con la speranza di consentire il miracolo dell’integrazione a tutto campo di due realtà ancora distanti tra loro sul fronte dell’assistenza, della didattica e della ricerca. Principi e obiettivi fondamentali sono quelli già noti: migliorare l’attività e l’innovazione organizzativa e tecnologica del servizio sanitario regionale e potenziare l’attività di formazione e ricerca.
I nodi sul tavolo
Ma l’ipotesi, soprattutto così come è formulata nella Stabilità, continua a far discutere soprattutto il mondo medico. «L’idea di una riorganizzazione delle reti cliniche e strutturali del Ssn intorno alle presunte eccellenze delle Facoltà di medicina – ha detto Anaao Assomed – mortifica i medici e i dirigenti sanitari dipendenti del Ssn, e anche quelli convenzionati, giudicati bisognosi di tutele e di iniezioni di professionalità, di apporti esterni di competenze e conoscenze». Il punto è che per alcuni prevedere la necessità dell’intesa con l’università per la nomina dei direttori generali di queste nuove aziende sanitarie uniche significherebbe assegnare agli atenei un ruolo decisionale vincolante che secondo le rappresentanze mediche condizionerebbe le scelte strategiche ed organizzative delle Asl.
Di tutt’altro avviso la componente accademica che parla solo di una norma che andrebbe scritta per tutti e 43 dipartimenti (ex-facoltà) di medicina sparsi sul territorio, e non solo per alcune regioni come prevede la Stabilità. Per Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale, è arrivato il momento di una collaborazione tra rete universitaria e rete ospedaliera: «L’accordo va fatto puntando su tre punti principali: ricerca traslazionale che abbia un effettivo impatto, formazione di alto livello e assistenza di qualità. Non ci si può più opporre a questo modello e anzi sono convinto che i due attuali ministri, Giannini e Lorenzin possano finalmente mettere in campo un’intesa che ricalchi quel modello di rete formativa integrata che partirà a breve per le scuole di specializzazione medica».
Il Sole 24 Ore sanità – 10 dicembre 2015