Gli industriali della pasta sono sul piede di guerra. Hanno scritto al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ma si riservano ulteriori azioni. Nel mirino c’è un decreto agostano (data del 20) emanato dal ministero dell’Agricoltura (Martina) di concerto con quello dello Sviluppo economico (Calenda) sull’etichettatura obbligatoria del grano duro nella pasta. Il decreto è finalizzato a salvaguardare la produzione agricola e introduce per le imprese precisi vincoli: le confezioni di pasta prodotte in Italia dovranno avere in etichetta il Paese di coltivazione del grano e il Paese nel quale è stato macinato. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi si dovrà usare la dicitura «Paesi Ue e Paesi non Ue». Se è coltivato per il 50% in un solo Paese, mettiamo l’Italia, l’etichetta potrà recepire il dato e diventare «Italia ed altri Paesi Ue e/o non Ue».
Per i pastai tutto questo meccanismo genera solo confusione e si basa su un presupposto che non è vero. Non sempre l’origine del grano è indice di qualità, detto ancor più chiaramente: non sempre il grano italiano è il migliore. Le semole più pregiate, sostiene l’Aidepi-Confindustria, derivano dalla miscelazione di grano duro nazionale e estero. Il governo italiano dunque avrebbe ceduto alle pressioni della Coldiretti avvalorando l’idea che la qualità superiore del made in Italy risieda nella materia prima e non nella trasformazione, principio che vale anche per il cioccolato e il caffè. In più gli industriali non importano grano per ridurre il prezzo: quello straniero costa di più (+15%) e viene acquistato proprio perché non sempre l’italiano ha la giusta quantità di proteine.
La querelle ha ovviamente un coté comunitario e si rifà al contenzioso sull’etichettatura di altri prodotti. Questa volta però Bruxelles dopo aver lasciato passare regolamentazioni protettive di latte e carne – su richiesta francese – per pasta e riso ha molti dubbi perché non è chiaro il nesso origine-qualità. L’Italia però in agosto si è portata avanti e il risultato è che sono venuti allo scoperto i divergenti interessi di agricoltori e industriali. La filiera del made in Italy si è «politicamente» spezzata. Vedremo come si muoverà Bruxelles nelle prossime settimane e se davvero boccerà il decreto italiano, come credono i nostri pastai che arrivano a dire che un basso contenuto di proteine del grano non renderebbe più possibile cuocere la pasta al dente, creando così un danno reputazionale alla narrazione gastronomica italiana.
E’ evidente anche che l’Aidepi teme un surriscaldamento dei prezzi del grano duro visto che potrebbe anche verificarsi che in Italia non ne venga raccolto a sufficienza. Come impedire che un conflitto tutto tricolore tra agricoltori e pastai crei nocumento alla nostra economia? Gli industriali pensano di avere la soluzione e propongono contratti di filiera che consentano ai coltivatori diretti un reddito sicuro migliorando nel contempo anche la qualità. Vedremo cosa risponderà Gentiloni.
Dario Di Vico – Il Corriere della Sera – 10 settembre 2017