Da una parte, lei: «La scuola in mano ai sindacati funziona? Io credo di no». Dall’altra, loro: «#staiserenorenzi, non ti voteremo». In mezzo, un disegno di legge di riforma che continua a spaccare il mondo della scuola che, dopo uno sciopero con 500 mila persone nelle piazze, non smette di avere paura e anzi annuncia nuove proteste.
«Non è accettabile lasciare le cose come sono», dice la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi in un comizio a Pesaro: «In commissione molti aspetti della riforma sono stati modificati, al Senato ora c’è una sfida da cogliere insieme, rinviamo tutto? Io non ci sto».
Ma neanche i sindacati ci stanno. Dopo lo sciopero del 5 maggio, sono stati ricevuti dai parlamentari Pd ai quali hanno spiegato i loro no alla Buona scuola, poi hanno chiesto un incontro al governo. «Nessuno ci ha risposto — dice ora Domenico Pantaleo della Cgil —, ma la dichiarazione della Boschi conferma l’arroganza e il disprezzo della democrazia: la scuola non è dei sindacati, ma nemmeno proprietà privata del governo, è del Paese». E ricorda che «l’agitazione nelle scuole va avanti se non smette questa idea arrogante e autoritaria di fare una riforma cui oltre 600mila persone hanno detto no». Anche la Cisl, con Francesco Scrima, attacca: «Il sindacato non ha bisogno della legittimazione del governo, piuttosto il governo prenda atto che è il mondo della scuola che si ribella».
Ci saranno assemblee continue nelle scuole, tanto per cominciare. Ma non si escludono «blocco degli scrutini e occupazioni degli istituti». Siamo a fine anno, sottolinea Massimo Di Menna, Uil, «un momento delicato, i docenti sono stanchi e dalla Boschi mi aspettavo una dichiarazione più di spessore: il dialogo si fa in due, le proteste di oltre 600mila persone vanno ascoltate, quello del governo invece è un soliloquio».
Anche perché nel testo appena approvato in commissione Istruzione alla Camera e che in settimana arriva in Aula, «non troviamo alcun impegno, piuttosto peggioramenti». I sindacati ce l’hanno con quella parte del ddl sulla valutazione dei docenti che prevede un comitato con preside, due prof, uno studente e un genitore: loro giudicheranno gli insegnanti alla fine dei tre anni e decideranno se dare il bonus di merito. «Ma questa è la scuola al contrario — dice Di Menna —: gli studenti che danno l’aumento ai prof è un pasticcio che fa ridere tutta l’Europa».
A Boschi risponde poi Nichi Vendola (Sel): «La scuola pubblica del nostro Paese è sulle spalle degli insegnanti, va avanti grazie al loro impegno e ai loro sacrifici». E Stefano Fassina, della minoranza Pd, twitta: «Che tristezza la ministra Boschi, parla come la Gelmini 2008. Governo incapace di comprendere scuola». Lei, la ministra, sorride: «Anche sull’Italicum ci siamo sentiti dire che il governo vuole una legge antidemocratica, che siamo ad un principio di dittatura. Berlusconi lo ha detto anche ieri e lui ha esperienza…».
Claudia Voltattorni – Il Corriere della Sera – 11 maggio 2015