Cresce l’allarme tra i risicoltori italiani per la concorrenza sleale del riso di importazione provenienti dai paesi asiatici. Nell’ambito dell’attuale regime speciale a favore dei Paesi meno avanzati (Pma), i dazi della tariffa doganale comune sono totalmente aboliti per tutti i prodotti provenienti da tali nazioni, tranne per le armi e le munizioni; questo regime è conosciuto anche con l’acronimo inglese Eba (“Everything But Arms” corrispondente a “Tutto tranne le armi”).
Questa liberalizzazione ha favorito, nel tempo, le importazioni di riso provenienti dai Paesi Meno Avanzati verso l’Unione Europea, determinando a partire dal 2008un incremento crescente delle importazioni.
I Pma, in particolare Cambogia e Myanmar, hanno effettuato numerosi investimenti in infrastrutture e reti commerciali, con l’obiettivo dichiarato di superare i 5,5 milioni di tonnellate di esportazione, pari a oltre il doppio dell’intero fabbisogno dell’Ue. Il confronto tra il dato di importazione nella campagna 2012/2013 (190.035 tonnellate) e il dato di importazione nella campagna 2008/2009 con un incremento di 179.941 tonnellate (+1783%) delle importazioni dai Paesi meno avanzati, evidenzia che si sta andando in questa direzione.
In Italia, tale trend ha comportato nel tempo la riduzione della coltivazione di riso varietà indica, che nel 2014, come riportano i dati divulgati dall’Ente Nazionale Risi, evidenziano una riduzione di 15.446 ettari (-21,6%), e la conseguenza di un minor quantitativo a disposizione dell’industria di trasformazione nazionale.
Il primo elemento di preoccupazione è che il prodotto importato è introdotto a prezzi vantaggiosi rispetto a quelli delle nostre produzioni, determinando una concorrenza sleale con le produzioni italiane e, in particolare, una probabile riduzione della coltivazione di riso varietà Indica che potrà essere solo parzialmente riconvertita nella coltivazione della varietà japonica, causando una conseguente eccedenza in questo comparto.
Ma l’elemento che maggiormente preoccupa è che i prodotti provenienti da tali Paesi, non offrono sufficienti garanzie in termini di sicurezza alimentare per il consumatore in quanto, le tecniche colturali, il sistema produttivo complessivo ed i controlli non sono adeguati e rispondenti alle norme utilizzate in ambito Ue, esponendo il consumatore europeo ai rischi legati alla mancanza di un corretto controllo sanitario.
Si è già riscontrato nel 2013 un abbassamento dei ricavi complessivi delle aziende risicole italiane produttrici di indica, infatti considerati i prezzi medi di campagna, le aziende risicole, ricaveranno circa 126 milioni di euro con una perdita di 30 milioni di € (i costi di produzione sono stimati a circa 156 milioni di euro).
In particolare, si registra una riduzione del 13,6 per cento delle consegne di riso varietà indica che rappresentano più della metà del volume complessivo.
Degno di nota è il fatto che per il riso di tipo indica le riduzioni più consistenti si registrano verso i mercati di Francia, Polonia e Paesi Bassi che, guarda caso, sono i “top countries imported cambodian rice” per quanto riguarda il 2013 e il 2014.
Al fine di tutelare una della produzioni più tipiche e tradizionali delle pianure italiane, messa sotto pressione dal dumping commerciale attuato dai Paesi terzi ove le tutele sociali ed ambientali non corrispondono agli standard obbligatori europei, si rende necessario porre maggiore attenzione su tutta la materia concernente la sanità delle produzioni provenienti da quei Paesi, in relazione alle tecniche di produzione e conservazione delle merci, che dovrebbero rispondere agli stessi requisiti richiesti ai produttori europei. Contemporaneamente è necessario applicare la clausola di salvaguardia, come Coldiretti ha sostenuto presso i Ministeri competenti, per sospendere da subito le importazioni e ripristinare i normali dazi doganali.
Il Punto Coldiretti – 14 luglio 2014