In attesa di veder partire il bonus bebè da 80 euro previsto dal disegno di legge di Stabilità, il governo corregge il tiro sul voucher «dimenticato», quello per pagare la baby sitter o l’asilo nido. Il meccanismo era stato introdotto in via sperimentale nel 2012, collegato alla riforma del lavoro targata Fornero: 300 euro netti al mese per sei mesi versati alle madri che, finita la maternità obbligatoria, decidevano di rientrare in azienda.
Una misura pensata per evitare che chi ha un figlio decida di abbandonare l’impiego, perché non riesce a sostenere la doppia vita delle mamme lavoratrici. L’aiuto era concesso solo ai dipendenti privati, lasciando fuori sia i lavoratori autonomi sia quelli della pubblica amministrazione. E la somma poteva essere utilizzata soltanto per pagare o la baby sitter o l’asilo nido, con versamenti «in chiaro» fatti attraverso l’Inps.
Forse i paletti erano troppo stretti, forse la norma (complice il successivo cambio di governo) non era stata pubblicizzata abbastanza: fatto sta che i soldi sono rimasti quasi tutti nel cassetto. Nel 2013, su 20 milioni di euro, ne sono stati utilizzati solo 5, coinvolgendo circa 3 mila persone. Non solo. L’esclusione dei dipendenti pubblici ha portato ad una serie di ricorsi che ha spinto a sospendere il voucher per l’anno in corso, congelando altri 20 milioni di euro. Tutto fermo in attesa delle modifiche, annunciate ieri dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che ha risposto ad un’interrogazione di Renate Gebhard, deputata del Südtiroler Volkspartei.
Per mettersi al riparo dai ricorsi, il nuovo voucher riguarderà anche i dipendenti pubblici. E per recuperare i vecchi fondi non spesi la somma passerà da 300 a 600 euro netti al mese. Sarà possibile presentare domanda all’Inps fino al 31 dicembre, e lo si potrà fare in qualsiasi momento senza aspettare il click day come l’anno scorso. Al momento non ci sono nemmeno limiti di reddito: «L’Inps — ha spiegato Poletti — ammette al beneficio la lavoratrice secondo l’ordine di presentazione della domanda e nei limiti della disponibilità delle risorse. Solo in caso di necessità, con un successivo decreto, potrà essere individuato un valore massimo dell’Isee», l’indicatore che misura la ricchezza del nucleo familiare. Tutto pur di evitare un altro buco nell’acqua.
Lorenzo Salvia – Corriere della Sera – 30 ottobre 2014