Sul sito dell’Autorità per l’energia l’operazione trasparenza. Dopo l’aumento delle tariffe del 5,8%. Dagli incentivi alle rinnovabili agli oneri nucleari
Da venerdì, sul sito dell’Autorità per l’energia e il gas, è possibile leggere in trasparenza la bolletta elettrica degli italiani. È questa la glaciale reazione del collegio, presieduto da Guido Bortoni, all’accusa di non fornire dati affidabili sui costi delle fonti rinnovabili, avanzata in tv dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. Un’accusa che è stata prontamente sposata dai fautori del fotovoltaico assistito, schierati contro il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, reo di voler interrompere, alla scadenza del quarto conto energia, il flusso degli incentivi. In un Paese meno superficiale, l’uscita di Clini avrebbe già avuto conseguenze o sull’accusata o sull’accusatore, a seconda della bontà dei rilievi. Anche perché i consuntivi dell’Autorità sugli incentivi sono connessi nella misura del 98% ai pagamenti effettuati dal Gestore dei servizi elettrici (Gse), società per azioni del ministero dell’Economia.
L’Autorità, si sa, ha ottenuto l’aumento della tariffa del 5,8%. Inevitabile di fronte ai costi derivanti dal maggior prezzo dei combustibili e dalla svalutazione dell’euro nonché dai crescenti oneri infrastrutturali generati dalla dispersione e dall’intermittenza delle fonti rinnovabili. L’incremento degli oneri infrastrutturali pesa per il 2,32% della bolletta, assorbe cioè il 40% del ritocco tariffario. L’altra parte dell’aumento, il 4% derivante dagli aiuti diretti alle rinnovabili, è stata scorporata e rinviata a fine mese per renderla visibile. Di qui l’allarme di Passera. E ora la spiegazione, più dettagliata di prima, della bolletta.
A regime, e cioè comprendendo anche l’aumento del 4% ancora da autorizzare, si stima che il prezzo dell’energia comunque prodotta e acquisita pesi per il 48% della spesa elettrica nazionale. I costi commerciali per servire le famiglie (i cosiddetti clienti serviti in maggior tutela) contano, sempre nelle stime, per il 4,1%. Il dispacciamento, che assicura l’equilibrio costante tra energia immessa in rete ed energia prelevata, inciderà per il 5,5%. Questa voce comprende anche i versamenti alle imprese industriali e non che si rendono disponibili a vedersi interrompere la fornitura istantaneamente in caso di richiesta (670-720 milioni); esenzioni dagli oneri di dispacciamento (150 milioni); aiuti per favorire l’interconnessione internazionale (330 milioni). Si tratta di capitoli oggetto di tante polemiche. Di recente, davanti alla richiesta di interrompere la fornitura, gli «interrompibili» (le aziende che accettano interruzioni di fornitura in cambio di sconti sulla tariffa) minacciarono ritorsioni perché, dicevano, era colpa dell’Eni se non arrivava abbastanza gas per produrre energia. Non avevano torto, ma quel contributo non dava loro anche il diritto di ergersi a giudice di altre imprese. Insomma, una ragione non annulla un torto.
Un 13% della bolletta, poi, se ne va per i servizi di rete, il cui onere appare destinato a salire proprio per effetto della generazione distribuita. Un conto è la vecchia infrastruttura pensata per 400 centrali, un altro e ben più costoso conto è oggi connettere microcentri di produzione in numero mille volte superiore.
Detto delle imposte che pesano per il 13%, veniamo agli oneri di sistema previsti dalle varie leggi: il punto del fiero contrasto. A regime, questi oneri si prevede passeranno dal 13,5 al 16,2% della spesa elettrica, arrivando alla bellezza di 12 miliardi. Questa la loro composizione: 10,6 miliardi alle fonti rinnovabili e assimilate; 250 milioni alle Ferrovie dello Stato (a Terni ThyssenKrupp, Cementir, Nova Tic e Alcoa è stato revocato il versamento); 168 milioni per la sicurezza del nucleare e le relative compensazioni territoriali; 71 milioni per le imprese elettriche delle isole non interconnesse al continente; 41 milioni alla ricerca; 17 milioni per sussidi alle famiglie particolarmente bisognose; 334 milioni per l’efficienza energetica dell’utenza.
I 10,6 miliardi per le rinnovabili, che saliranno a 12 in base al quinto conto energia, si suddividono a loro volta in 1,4 miliardi per le fonti assimilate (il vecchio scandalo degli incentivi Cip 6, che abbiamo denunciato da sempre), in 1,8 miliardi per i certificati verdi, in 1,5 miliardi per la tariffa fissa onnicomprensiva, la parte non scandalosa del Cip 6 perché dedita alle rinnovabili, lo scambio sul posto. Il resto, ben 5,9 miliardi destinati ad arrivare a 7 secondo le nostre stime, è riservato al fotovoltaico.
Questi i numeri stimati. Il privilegio del fotovoltaico trova la sua dimostrazione anche nel fatto che, mentre le altre fonti rinnovabili si sviluppano a ritmi di poco superiori a quelli suggeriti dal Piano nazionale, il fotovoltaico esplode: per centrare gli obiettivi del Trattato di Kyoto, l’Italia deve avere installati 8 mila megawatt di fotovoltaico entro il 2020 ed è già arrivata a 12.500. Nel Paese dove si dice sia difficile fare tutto, è fiorita dal nulla una legione di imprenditori illuminati dal sole o abbiamo alimentato con incentivi sproporzionati una furbata di massa?
Massimo Mucchetti – Corriere della Sera – 14 aprile 2012