Tito Boeri, presidente Inps, non vede nella sua carica un mandato a esercitare l’ipocrisia sui problemi italiani.
Presidente, si parla di sgravi contributivi ai giovani neoassunti. Che ne pensa?
«Sono efficaci se sono significativi e visibili. E se vengono percepiti come duraturi, strutturali. I tagli limitati o troppo complessi alla fine sprecano risorse».
Dunque condivide l’impostazione del governo?
«Mi pare corretto utilizzare tutte le risorse disponibili su questo fronte. In Italia abbiamo il problema del mercato del lavoro, in particolare dei giovani; dovremmo portare lì anche gli altri interventi. Se ad esempio vogliamo spingere le imprese a fare più investimenti sulle tecnologie di Industria 4.0, e abbiamo una dote per farlo, la potremmo usare all’interno del pacchetto lavoro».
Come pensa di riuscirci?
«Troviamo un modo in cui le due misure, sgravi ai giovani e incentivi agli investimenti in tecnologie, si parlino: le imprese che investono in formazione, per esempio, possono aver diritto a una decontribuzione più forte. È un modo di promuovere la complementarietà fra lavoro e capitale, anziché spingere le imprese a sostituire il lavoro con i robot».
In Italia salari e stipendi sono legati all’anzianità e il costo del lavoro dei giovani è crollato con la crisi. Cambierà qualcosa riducendolo ancora?
«Se si riesce a unire la decontribuzione sui giovani neo-assunti al piano per rafforzare la competitività in impresa, ciò non può che incoraggiare la formazione e la produttività. Questo a sua volta renderà i salari, in prospettiva, meno rigidamente legati all’anzianità e più basati sulla produttività dei singoli».
Dunque il passo successivo quale dovrebbe essere?
«Una riforma della contrattazione».
Come seconda gamba del Jobs Act?
«È assolutamente necessario. E una revisione dei meccanismi della rappresentanza. Non solo dei sindacati, anche dei datori di lavoro».
Quale è l’obiettivo di questa secondo gamba del Jobs Act?
«Abbiamo dei giovani molto qualificati che hanno potenzialmente un mercato internazionale e in Italia sono pagati molto meno che altrove. Di qui la fuga all’estero. Dovremmo permettere che la contrattazione valorizzi queste competenze e riduca il mismatch: abbiamo il record dei lavoratori sbagliati al posto sbagliato».
Invece si punta alle pensioni di garanzia per chi ha il contributivo e a ridurre i requisiti per le donne.
«Un dibattito surreale. E lo è proprio perché parte dalla presa d’atto che ci sono aree di enorme difficoltà sul mercato del lavoro per i giovani e per le donne. I problemi pensionistici nascono da qui. È una questione che si riverbera sulle pensioni future, certo, ma va affrontata oggi facilitando l’accesso al lavoro di questi giovani e delle donne. Bene che la legge di bilancio si impegni su questo obiettivo. Non per cambiare le regole pensionistiche».
L’Ape sociale rivista costerà molto?
«Per l’Inps, il costo amministrativo di gestire questo strumento è pari al lavoro a tempo pieno per un anno di 225 funzionari con laurea magistrale».
E per il sistema?
«L’impatto del breve periodo è limitato, ma possono esserci effetti molto importanti a lungo andare. Noi all’Inps ci siamo impegnati a dare alla politica economica informazioni su ciò che accade al cosiddetto debito implicito, ossia agli impegni previdenziali assunti dal sistema. Abbiamo trasmesso al governo le stime del debito implicito nei vari scenari. E faremo lo stesso con il parlamento, se queste opzioni entreranno nella Legge di bilancio».
Di che cifre si tratta?
«Siamo vincolati alla riservatezza».
Vede aumenti del debito implicito?
«Ci sono effetti importanti».
Teme che, pezzo a pezzo, si smonti la riforma Fornero?
«Mi preoccupa che continui ad aumentare il debito implicito, perché lo stiamo lasciando alle generazioni future. Se poi facessimo operazioni come quelle del mancato adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita, dopo aver venduto a tutti che abbiamo un sistema delle pensioni stabile… Aumenterebbe il premio al rischio Italia e ci toglierebbe risorse per politiche per lo sviluppo, anche perché le banche sono imbottite di nostri titoli pubblici».
Davvero si possono finanziare politiche sociali rivedendo i vitalizi?
«Fra parlamentari e consiglieri regionali, si possono trovare 150 milioni».
Da dove partirebbe?
«Dalla trasparenza: trovo davvero grave che il Parlamento non abbia reso pubbliche le cifre sui contributi versati dai diversi parlamentari. Solo le Camere le hanno e non vengono date neanche all’Inps. Volessimo fare ricalcoli precisi sui contributi versati, non potremmo».
Ma li avete chiesti quei dati?
«Sì, attraverso il ministero del Lavoro. Addirittura ci veniva chiesto di fare valutazioni tecniche di proposte di ricalcolo dei vitalizi, come quella di Matteo Richetti (Pd, ndr), senza fornirci i dati per farlo. È grave perché impedisce all’opinione pubblica di capire se certe posizioni dei parlamentari sono dettate da interesse personale».
Che intende dire?
«Alcuni parlamentari dicono: ‘Sono contrario al taglio dei vitalizi, anche se non mi riguarda’. Bene, vogliamo capire se è vero? Se non ci fornite i dati non possiamo saperlo. Inoltre moltissimi di questi percettori di vitalizi ricevono anche una pensione Inps importante».
Probabilmente viene dal lavoro svolto in altri momenti, no?
«Be’, in moltissimi casi negli stessi anni in cui quelle persone sedevano in un’assemblea elettiva, l’Inps accreditava per loro gli oneri contributivi figurativi per un’altra attività di lavoro. Quindi alcuni di loro godono di trattamenti molto importanti. Non sempre è vero che tagliando i vitalizi si lasciano le persone senza pensione. Spesso non è così».
Sulle pensioni di invalidità, la salute varia con la regione. La Calabria è nociva, il Veneto no… da certificati Inps.
«Oggi servono quattro visite per il riconoscimento dell’invalidità: medico di base, Azienda sanitaria locale, medico Inps, e in alcuni casi la visita specialistica. È un processo traumatico per chi ha un’invalidità. Grazie ad una convenzione è però possibile accentrare tutto all’Inps. L’obiettivo è alleggerire il peso per le famiglie, ridurre i tempi e avere valutazioni più uniformi. Siamo pronti a sottoscrivere il patto con tutte le regioni. Partendo dalle disabilità dei minori, sui cui abbiamo già un protocollo sperimentale con i maggiori ospedali pediatrici: Gaslini, Meyer, Bambino Gesù».
Da questo mese l’Inps fa le visite mediche per malattia degli statali. Come sta andando?
«In dieci giorni abbiamo fatto 5 mila visite. In molti casi abbiamo riscontrato idoneità al lavoro».
L’Italia oggi vede nette revisioni al rialzo delle stime di crescita. Quanto è strutturale questa ripresa?
«È bello rivedere tassi di crescita all’1,5% dopo anni. Ma non dimentichiamo che siamo sotto la media Ue di mezzo punto, anche se prima lo eravamo di uno. L’economia italiana resta nettamente sotto ai suoi livelli del 2008, mentre l’Europa è nettamente sopra».
Siamo di circa il 6% sotto, l’Europa in media di sei sopra.
«C’è un ritardo di 12 punti che si è accumulato, quindi un rimbalzo doveva arrivare. Ora la situazione bancaria è rasserenata, le imprese hanno molta più liquidità grazie a questo e alla Banca centrale europea. C’è stata una ripresa degli investimenti e l’aumento dei contratti stabili sostiene i consumi. Poi si fanno sentire il turismo e altri fattori. Questo ci dice che la parte strutturale della ripresa è limitata e che i rischi di deragliamento sono sempre presenti. Evitiamo i messaggi sbagliati».
Quali sono i messaggi sbagliati?
«Delle pensioni le ho già detto».
Il Corriere della Sera – Federico Fubini – 15 settembre 2017