Una rete stesa su buona parte della Sicilia e non solo grazie a complicità di vario genere e in particolare di colletti bianchi, politici, funzionari di soggetti sindacali o parasindacali come i Centri di assistenza agricola. Sono 94 (48 in carcere e altri 46 sono agli arresti domiciliari) i soggetti arrestati dai carabinieri e dai militari della Guardia di finanza che hanno eseguito un corposo ordine di custodia cautelare (1775 pagine) firmato dal gip del Tribunale di Messina Salvatore Mastroeni che ha accolto le richieste della procura antimafia guidata da Maurizio De Lucia. Ma complessivamente gli indagati sono 194. Da più di vent’anni non si vedeva in riva allo Stretto un’operazione antimafia così poderosa nel cui conteggio vanno inserite le quasi 175 aziende sequestrate.
Dall’indagine emerge che i boss dei Nebrodi non hanno dismesso le tradizionali attività illecite (estorsioni, traffici di droga), ma i taglieggiamenti spesso erano finalizzati all’accaparramento di terreni, la cui disponibilità era presupposto per accedere ai contributi comunitari «settore, questo – scrive il gip – che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose, unitamente ad un’attività di narcotraffico organizzato grazie ad una rete di contatti in ambito regionale, e nel cui settore venivano reimpiegate, con ogni probabilità, le ingenti somme depredate attraverso le truffe».
Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per farli poi, «rientrate in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce». Queste organizzazioni mafiose «grazie all’apporto di professionisti – scrive il gip -, presentano una fisionomia dinamica, muovendo dal controllo dei terreni, forti di stretti legami parentali e omertà diffusa (e, quindi, difficilmente permeabili al fenomeno delle collaborazioni con la giustizia), mirano all’accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell’economia legale, depredandolo di ingentissime risorse, nella studiata consapevolezza che le condotte fraudolente, aventi ad oggetto i contributi comunitari, praticate su larga scala e difficilmente investigabili in modo unitario e sistematico, presentino bassi rischi giudiziari, a fronte di elevatissimi profitti». Insomma una mafia che ha fatto «un salto di qualità – dice il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho -: si nota sui Nebrodi ma anche a livello nazionale, con inserimenti nell’economia legale con sistemi illegali».