Un vero e proprio fallimento scientifico, quello che chiama in causa l’Agenzia Europea sull’Ambiente: che avrebbe consentito di non considerare, anno dopo anno, studi a conferma degli effetti tossici del bisfenolo A, sostanza oggi bandita in alcuni Stati Europei (Danimarca, Francia, Belgio e Svezia) in tutti i materiali di contatto alimentare; ed in Europa circa i materiali di contatto alimentare (come le stoviglie) espressamente destinate ai bambini.
Ci eravamo occupati del tema poche settimane fa, sottolineando come oggi in Europa sia stata riaperta la valutazione del rischio dell’interferente endocrino dopo che ANSES, l’ente francese di valutazione del rischio deputato- l’aveva messo al centro di accuse che la Commissione non ha potuto non vedere.
Proprio EFSA è stata allora incaricata di due nuove valutazioni, condotte da due gruppi di lavoro appositamente preposti: il primo sulla valutazione dell’esposizione (tenendo conto anche di fonti non alimentari), il secondo circa la valutazione del rischio vera e propria.
L’accusa è pesante: EFSA avrebbe sistematicamente ignorato studi indipendenti che adducevano prove circa la tossicità e gli effetti avversi endocrini del BPA, alzando di 5 volte l’assunzione giornaliera tollerabile nel 2006, come mostra entusiasticamente l’industria. Inoltre, si sottolineano i conflitti di interesse tra i panelist che indagavano sulla sostanza e i finanziamenti ricevuti dall’industria. In ogni caso l’EEA riconosce i passi avanti fatti proprio sulla corporate policy circa la dichiarazione degli interessi (DoI).
Uso distorto dei dati
Come mette in luce nel capitolo “Late lessons from early warning: science, precaution and innovation”, la EEA sottolinea come dal 2002 ad oggi EFSA si sia basata su una selezione arbitraria di dati all’interno di alcuni studi, da parte di un Panel con al proprio interno 9 persone su 21 con evidenti conflitti di interesse. Evitando di considerare- insieme alla Food and Drug Administration- oltre 800 studi scientifici che sottolineavano effetti avversi e tossicità del BPA a livelli inferiori a quelli dell’esposizione umana attuale.
Nella brochure, che vorrebbe cogliere spunto dall’esperienza passata “per massimizzare l’innovazione e minimizzare i rischi”, si legge che “le vere storie di alcune innovazioni di largo uso del passato, come petrolio al piombo, prodotti con mercurio, vinil-cloride, DDT, tabacco ed energie fossili sono qui usate per imparare le lezioni per la gestione di attuali e prossime innovazioni, come neonicotinoidi, BPA, telefoni cellulari, nanotecnologie, OGM, resistenza degli ecosistemi e specie invasive”.
Sul BPA, si legge, organismi come le autorità USA e Europee sono giunte ad una diversa valutazione, a seconda dell’approccio seguito: il che è già motivo sufficiente per capire che il tema è delicato e richiede molta precauzione prima di accordare patenti di sicurezza. Come per gli ormoni infatti, gli effetti sarebbero ritardati nel tempo e non direttamente osservabili con i protocolli tossicologici standard; e inoltre, l’età in cui si è maggiormente sensibili coinciderebbe con l’infanzia o addirittura, la fase prenatale.
La domanda critica che la EEA pone è la seguente: può un unico studio peraltro commissionato dall’industria delle materie plastiche, valere di più che non 800 studi indipendenti? Tale studio (Tyl et al., 2002) è stato considerato da EFSA centrale nella valutazione del rischio. Nonostante i ricercatori dello studio rilevino come vi siano alcune modifiche nello sviluppo dei ratti anche a dosi minori rispetto alla soglia NOAEL, decidono di non considerarle rilevanti nelle conclusioni (senza motivi solidi). La NOAEL è la dose massima alla quale non si verificano effetti di sorta in seguito ad una esposizione tossicologica. Per il BPA è stata fissata a 5 mg /kg di peso corporeo. Dividendo tale valore per 100, cosa che abitualmente si fa per ottenere un valore di sicurezza, si arriva a 50 microgrammi/kg di peso corporeo, attuale valore autorizzato da EFSA. Ma ci sono ben 46 studi in letteratura scientifica che mostrano effetti avversi anche a valori molto più bassi di tale dose ritenuta sicura. Infatti nello studio di Tyl (2002) si presentano dati che suggeriscono un aumento della distanza ano-genitale, predittiva di una diminuzione dei caratteri maschili e di una bassa qualità seminale. Ma nelle conclusioni vengono considerati irrilevanti. Certo, non sono un endpoint tradizionale dal punto di vista tossicologico, ma implicano gravi disturbi dello sviluppo, cui comunque si dovrebbe prestare almeno un po’ di attenzione.
A volte insomma, la cecità rispetto ai protocolli usati per i test di laboratorio è funzionale a non fare emergere risultati (vedasi aspartame). E bisogna considerare i limiti della valutazione del rischio:
“La valutazione del rischio è solo un protocollo usato dalla comunità dei risk manager e legislatori, non scienza in quanto tale. L’incertezza dei pareri va sempre adeguatamente presa in considerazione e quantificata. Le tante ricerche con revisione dei pari che mostrano effetti a basse dosi, segnalano semplicemente che i protocolli per i test e le procedure di laboratorio non sono adatte per la valutazione degli interferenti endocrini”.
Come per il tabacco
La relazione della EEA punta poi verso precedenti storici in grado di aiutare nella comprensione di quell che sta accadendo. In passato, l’industria ha influenzato pesantemente le procedure di valutazione del rischio. Sono fatti noti e ben documentati, sia sul fumo attivo che passivo (Gruning et al., 2006).
E vi sono continuità impressionanti: almeno uno degli studi di consulenza che sono stati al fianco dell’industria del tabacco- il Weinberg Group– sono stati ingaggiati anche dalle industrie del BPA per influenzare la valutazione del rischio e la regolamentazione europea. Il tema è così pubblico che negli USA se ne è occupata perfino la lettissima Vanit Fair.
Nello specifico, l’etichettatura del BPA è risultata- grazie alle azioni di tale consultancy- meno restrittiva. Proprio nel company profile dell’azienda, si mette in luce come tra i risultati migliori del gruppo Winberg vi sia il raggiungimento di una etichettatura di grado 3 e non di grado 2 (per intenderci, corrispondente questa a teschio e ossa). Inoltre- sottolinea la EEA- la correlazione tra fonti di finanziamento e risultati della ricerca è impressionante (Lesser et al., 2007; Moses et al., 2005; Blumenthal, 2003). Questa associazione è stata pure dimostrata per il BPA.
Late lessons from early warnings: science, precaution, innovation