Valentina Arcovio. Immaginate un futuro in cui gli esseri umani saranno simili a salamandre, capaci di far ricrescere alcuni pezzi-chiave del proprio corpo. Oppure immaginate un futuro in cui migliaia di droni trasporteranno super-organi di maiale pronti per essere trapiantati. Insomma, un mondo in cui non esistono più liste d’attesa per queste delicate operazioni e dove le 20 persone che oggi muoiono ogni giorno per carenza di organi continuano invece a vivere (e bene).
Sono questi gli scenari che immagina Mauro Giacca, professore di Biologia Molecolare all’Università di Trieste e direttore del Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie: li racconterà – con l’aiuto di altri tre grandi cervelli -, moderando, sabato 24, l’incontro intitolato «Dai trapianti agli organi in provetta», nell’ambito della quinta edizione di «Trieste Next».
Professore, chi sono questi cervelloni che interverranno con lei?
«Uno è il chirurgo cardiovascolare Piergiorgio Tozzi, di Losanna, che ha partecipato alla realizzazione del cuore artificiale. Poi ci sarà un italiano famoso, Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, nefrologo attivo nel campo delle cellule staminali e del loro potenziale uso per creare organi artificiali. E parteciperà anche Thierry Pedrazzini dell’Università di Losanna, genio della rigenerazione cardiaca, che ha sviluppato un sistema per far moltiplicare in laboratorio cellule cardiache da iniettare nei pazienti, consentendo la riparazione del muscolo cardiaco danneggiato».
Quale altro filone di ricerca è promettente nel campo dei trapianti e della rigenerazione degli organi?
«Quello della “rigenerazione interna”. Nel nostro centro di Trieste, per esempio, siamo tra i leader di un approccio che prevede di inserire nel muscolo cardiaco danneggiato piccoli “pezzi” Rna, capaci di indurre le cellule cardiache a replicarsi e a riparare il cuore stesso».
Con quali risultati?
«Direi molto buoni. Abbiamo infatti registrato risultati importanti sia su animali di piccola sia di grande taglia. Questo mi fa ben sperare: potremo arrivare alla sperimentazione sull’uomo in tempi ragionevoli. Entro la fine dell’anno, infatti, cercheremo finanziamenti che ci consentiranno di dare via a una start-up e di allestire, quindi, una sperimentazione clinica. Entro due-tre anni speriamo di iniziare a testare la sicurezza del nostro approccio sugli esseri umani».
E a che punto è l’idea di utilizzare organi «modificati» di animali per i trapianti nell’uomo?
«Dopo una piccola battuta d’arresto la ricerca sugli xenotrapianti è tornata di nuovo in auge. Su questo approccio c’è stato un grande interesse a metà degli Anni 90, quando si scoprì che è possibile trapiantare organi di maiale nell’uomo, dopo aver inattivato una serie di geni responsabili del rigetto dell’organo stesso. All’epoca c’era grande entusiasmo per aver superato uno degli ostacoli più importanti, che, di fatto, impediva all’organismo umano di accettare l’organo, rigettato generalmente nel giro di poche ore. Così le aziende attive nel settore delle biotecnologie hanno iniziato a creare maiali geneticamente modificati, cioè privati di quei geni responsabili del rigetto d’organo e dotati invece di geni umani, dando quindi vita ad animali ragionevolmente compatibili con l’uomo. Quello che, però, bloccò questo tipo di trapianti fu la scoperta della presenza di retrovirus negli organi dei maiali. Si diffuse quindi il grande timore che questi retrovirus potessero adattarsi all’uomo e diventare poi letali per la popolazione in generale. Un po’ come è successo con il virus dell’Hiv, nato inizialmente nelle scimmie e poi adattatosi all’uomo. Ma qualche anno fa, precisamente nel 2013, grazie alla tecnica del “gene editing”, l’ipotesi di utilizzare gli organi di maiale per trapiantarli nell’uomo è tornata a essere una possibilità concreta».
Che cosa ha ridimensionato i comprensibili timori iniziali?
«Nei laboratori del Mit, il Massachusetts Institute of Technology di Boston, i ricercatori sono riusciti in un solo colpo ad eliminare oltre 60 retrovirus endogeni nel genoma del maiale, utilizzando proprio l’editing genetico. In pratica sono state “tagliate” le oltre 60 copie di retrovirus, eliminando il pericolo di infezioni. Ecco perché è rinato l’interesse verso gli xenotrapianti. Tanto che un’azienda biotecnologica americana ha commissionato a un’azienda cinese la realizzazione di droni specializzati per il trasporto di organi di maiale da uno stabilimento “specializzato” fino agli ospedali, dove dovranno poi essere trapiantati».
La Stampa – 21 settembre 2016