Confermate in Appello le condanne per l’allora amministratore delegato e per il casaro
Bambino con la Seu, quasi in stato vegetativo, dopo aver mangiato, a giugno 2017, quando aveva quattro anni, il formaggio con latte crudo «Due Laghi» acquistato al caseificio sociale di Coredo, risultato, dalle analisi, contaminato dal batterio dell’escherichia coli. In Appello, ieri (venerdì 19 luglio ndr), sono state ricalcate le condanne nei confronti dell’allora legale rappresentate del caseificio Lorenzo Biasi e del casaro Gianluca Fornasari, in qualità, ai tempi, di responsabile del piano di controllo. Una condanna al massimo della pena prevista per il reato di lesioni personali colpose gravissime e cioè a una sanzione di poco meno di 2500 euro ciascuno (esattamente 2478 euro). Sul fronte danni invece, a differenza del giudice di pace di Cles, che a dicembre scorso si era dichiarato incompetente, ieri il giudice del tribunale di Trento, Massimo Rigon, si è pronunciato sul risarcimento sollecitato dalle parti civili e ha disposto che i due imputati paghino in solido una provvisionale, e cioè una prima trance di risarcimento, di un milione di euro totale. In particolare si tratta di 600mila euro da liquidare al bambino che oggi ha undici anni ed è sempre in gravi condizioni, e 200mila euro a ciascun genitore. Ora, si dovranno attendere novanta giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza ma è evidente che il giudice Rigon, così come aveva fatto il collega di primo grado, ha riconosciuto il nesso di causalità tra la malattia contratta dal bimbo (la Seu, sindrome emolitico-uremica, causata dal batterio dell’Escherichia coli) e l’ingestione del formaggio prodotto con latte crudo. E sempre tra novanta giorni i legali dei due imputati valuteranno se ricorrere in Cassazione, anche se il rischio prescrizione, e cioè che il reato contestato venga cancellato dal troppo tempo trascorso, è dietro l’angolo.
Famiglia soddisfatta
Biasi e Fornasari erano stati iscritti sul registro degli indagati dopo l’esposto dei genitori del bambino. Ad impugnare la sentenza di primo grado emessa sette mesi fa non erano stati solo i legali dei due (avvocati Giovanni Rambaldi e Alessio Eccher) ma anche gli avvocati Paolo Chiariello e Monica Cappello, difensori della famiglia che si è sempre battuta per l’accertamento della verità e per scongiurare che possa riaccadere quanto successo a loro figlio. «La conferma della sentenza, quindi della responsabilità colposa, è una soddisfazione enorme da parte della famiglia — il commento di Chiariello — Qui si era Davide contro Golia, qui non era solo la lotta di una famiglia contro un piccolo caseificio di campagna: dietro il caseificio c’è un consorzio, il Concast, che è una corazzata tascabile dell’industria alimentare locale, che appartiene al primo player economico sul territorio» le parole del legale in riferimento alle reazioni registrate a marzo per il lancio promozionale di un nuovo formaggio a marchio Val di Non, con tanto di logo dell’Apt, avvenuto nello stesso caseificio coinvolto nell’inchiesta.
Le consulenze sul nesso
I processi nei due gradi erano passati attraverso consulenze e audizioni di testimoni, tra questi anche Giovanni Battista Maestri, papà del piccolo oggi di undici anni. Ieri in aula la pubblica accusa, in merito al nesso causale, ha spiegato che «l’ingestione del formaggio avariato per la presenza di più batteri che lo avevano contaminato è l’unica causa possibile, altre fonti alternative sono state sviscerate ed escluse». La vice procuratrice onoraria Federica Chesini, riprendendo la consulenza di parte della famiglia, ha esposto come «c’è una possibilità su un milione che la causa dell’intossicazione e dello sviluppo della Seu sia dovuta a causa diversa da quel formaggio». Per il consulente della Procura invece le possibilità sono sei su un milione, comunque un’eventualità assai remota che il grave stato in cui si trova il ragazzino sia attribuibile ad altro. Ragazzino che, secondo il medico legale Giovanni Morra, ha un’invalidità totale, un danno del cento per cento.