Il parassita è lo stesso: Plasmodium Falciparum . Ha causato la morte, lunedì, per malaria di Sofia Zago, la bimba di quattro anni ricoverata d’urgenza agli Spedali civili di Brescia, dopo essere stata in cura, per un sospetto diabete, prima all’ospedale di Portogruaro e poi al Santa Chiara di Trento. Proprio qui il medesimo e letale microorganismo è stato trovato dai biologi nel sangue di due sorelline di 11 e 4 anni provenienti dal Burkina Faso (ma entrambe native del Trentino) ove assieme alla famiglia erano state per un soggiorno dai parenti ad agosto. Se il ceppo del Falciparum sia lo stesso — ipotesi che stabilirebbe come il contagio sia avvenuto in corsia, per un errore medico — lo stabilirà un esame del Dna in corso all’Istituto Superiore di Sanità di Roma. Il responso dovrebbe giungere entro pochi giorni,
L’esito degli esami ematici sui «vetrini» potrebbe ribaltare le piste «investigative» sinora considerate. Se emergesse che il ceppo del Plasmodium che ha provocato la malaria nelle due bimbi africane e nella piccola Sofia fosse lo stesso, allora il contagio — secondo diversi esperti — sarebbe sicuramente avvenuto in ospedale. Ma resterebbe da capire in che modo: forse l’uso di siringhe infette o una trasfusione di sangue ugualmente infetto.
Se il ceppo risultasse invece differente, allora il contagio, sempre in base alle indicazioni degli infettivologi, sarebbe avvenuto in un contesto diverso. Tutto da esplorare, e che porterebbe a prendere in esame persino le temperature assai alte dell’estate in corso: quelle che in zone marittime come Bibione (dove la famiglia Zago aveva trascorso qualche giorno di vacanza) permetterebbe, seppure in via del tutto teorica, la sopravvivenza dell’Anopheles. Prospettive su cui indagano i carabinieri dei Nas di Trento coordinati dal procuratore Marco Gallina che, dopo aver aperto un fascicolo per omicidio colposo, attende oggi l’esito dell’autopsia disposta a Brescia. In agenda anche l’incontro con la task force di medici e ricercatori inviati dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin. L’obiettivo: accertare se siano state ri-spettate tutte le «consegne» di profilassi.
L’indagine su questa vicenda «assurda», come l’ha definita l’assessore provinciale alla Salute Luca Zeni, non è semplice. Intanto al Santa Chiara (dove ieri è terminata la disinfestazione) nessun esemplare adulto di zanzara — né le Anopheles né le più innocue «tigre» — è stato trovato con le «trappole» («bicchierini» chimici che attraggono gli insetti) disseminate a Pediatria.
Un elemento che ridimensiona l’ipotesi di zanzara «da valigia» portata da qualcuno della famiglia di ritorno dal Burkina Faso. Ma che apre altri scenari.
Per questo gli investigatori consulteranno la banca dati del ministero della Salute («memoria» di tutti i casi di malaria) per capire se ci siano state altre segnalazioni sospette attorno a Bibione e oltre. Dati in arrivo che verranno analizzati da un comitato scientifico composto da esperti nominati dal ministero e dal Nas che intanto hanno sequestrato cartelle cliniche a Trento, Portogruaro e Brescia (dove è stata aperta un’altra inchiesta). Resta aperta anche l’ipotesi del contagio in Veneto, magari nella spiaggia di Bibione dove la famiglia di Sofia era stata in vacanza per qualche giorno. I Nas chiederanno l’elenco dei casi sospetti monitrati nella zona alla banca dati del ministero della Salute.
Gli esperti e il mistero del contagio. «Siringa infetta il caso più plausibile ma sarebbe un incidente enorme»
Sono quasi scenari fantascientifici quelli che si dipingono nel tentativo di spiegare come è possibile contrarre la malaria in ospedale, come è accaduto per la piccola Sofia.
«Senza ricorrere alla fantascienza — commenta Massimo Galli, infettivologo dell’Università di Milano e vicepresidente della Società italiana di Malattie infettive — occorre per lo meno considerare l’improbabile, quasi al limite dell’impossibile». Tutti gli esperti sono, infatti, concordi nel ritenere il caso di Trento davvero eccezionale.
Professor Galli, la prima ipotesi è che il Plasmodio (il parassita responsabile della malattia) sia stato trasmesso da una zanzara, l’Anopheles, come avviene «classicamente».
«Dato per scontato che da noi la malaria non c’è, si deve allora pensare a due situazioni. La prima è che in ospedale sia arrivata una zanzara infetta da zone endemiche, magari trasportata nei bagagli, e che abbia punto Sofia. A Trento erano, infatti, ricoverati per un’infezione malarica due bambini che provenivano dal Burkina Faso. Difficile, però, che le cose siano andate così perché questi pazienti non sono arrivati direttamente in ospedale dall’Africa con le loro valigie. Saranno le indagini entomologiche su zanzare eventualmente presenti nella zona dell’ospedale a dire che cosa è successo».
E l’altra?
«L’altra situazione prevedrebbe che una zanzara autoctona del genere Anopheles avesse punto uno dei due bambini infetti e poi la piccola Sofia, trasmettendo il parassita. Ma la nostra zanzara Anopheles è presente soprattutto nel Sud Italia, trasmetteva la malaria quando era endemica da noi, ma non è detto che sia ora in grado di veicolare un Plasmodio di origine africana. In ogni caso le indagini sui parassiti dei piccoli africani e della bambina diranno se si tratta dello stesso Plasmodio».
È possibile infettarsi giocando con bambini malati se magari hanno qualche piccola ferita?
«No, questa modalità di contagio è assolutamente da escludere. La malaria non si trasmette attraverso i fluidi corporei (come le lacrime o la saliva ad esempio, ndr) e, quindi, nemmeno attraverso un bacio. E non si propaga per via aerea».
Però la malaria si trasmette con il sangue infetto.
«Sì. Con trasfusioni innanzitutto, ma non è questo il caso: non solo Sofia non è stata sottoposta a questa procedura, ma più in generale, da noi, i controlli sulle donazioni di sangue sono rigidissimi. E poi con siringhe infette, come testimoniano casi fra tossicodipendenti».
Questo può succedere anche all’interno di un ospedale?
«È improbabile perché si utilizzano materiali monouso. Però è questa l’ipotesi più plausibile. Si tratterebbe allora di un incidente madornale».
Tutte queste ipotesi sono compatibili con i tempi di incubazione della malattia?
«Sì, i tempi ci sono, da quando la piccola è stata ricoverata la prima volta a Trento (è rimasta in ospedale dal 16 al 21 dell’agosto scorso, ndr) fino a quando è ritornata con i sintomi dell’infezione (il 31 agosto; i tempi di incubazione infatti, vanno dai 7 ai 14 giorni, ndr).
Il Corriere della Sera – 7 settembre 2017