Quando l’approvazione sembrava ormai ad un passo, è improvvisamente mancato il numero legale. Ma non a causa del contemporaneo comizio di Matteo Salvini a Padova, com’era stato paventato nel corso di una seduta carica di tensione, bensì per un furioso scontro tra leghisti e forzisti, iniziato con un diverbio in aula, continuato con una lite sui social e finito con il gelo lungo il Canal Grande. Slitta dunque a martedì il voto del consiglio regionale sulla proposta che punta al riconoscimento del popolo veneto come minoranza nazionale: l’ormai ribattezzata (malamente, secondo i promotori) «legge sul bilinguismo» continua infatti a dividere, ed ora in modo più netto che mai, la maggioranza.
Pensare che la giornata sembrava essere cominciata sotto il segno della distensione. Di buon mattino Lega Nord e Lista Zaia avevano infatti diramato una nota congiunta per annunciare libertà di coscienza. A quanto pare su diretta disposizione del governatore Luca Zaia , il messaggio lanciato dai capigruppo Nicola Finco e Silvia Rizzotto era mirato proprio a rabbonire gli alleati più critici nei confronti del testo: «Le sensibilità circa il sentimento di appartenenza ad una comunità sono diverse, in quanto attengono molto spesso alle singole sfere personali, al vissuto e alle origini di ciascuno di noi».
Questa apertura, unita all’emendamento del relatore leghista Riccardo Barbisan che suggeriva di eliminare uno dei punti più controversi (il patentino di bilinguismo rilasciato dall’Istituto lingua veneta), ha convinto Sergio Berlato (Fratelli d’Italia) a non partecipare al voto pur restando presente(per l’appunto «per contribuire al mantenimento del numero legale»). Pure Massimo Giorgetti e Elena Donazzan (Forza Italia) a lungo sono rimasti seduti, a differenza del capogruppo Massimiliano Barison uscito prima, ma hanno comunque ribadito la loro contrarietà al provvedimento.
Per un po’ sono state le opposizioni, seppure prive di diversi componenti tra cui la capogruppo dem Alessandra Moretti, a tuonare contro il progetto. Per esempio Stefano Fracasso (Partito Democratico): «Non riesco a capire perché bisogna far finta di essere come gli indiani d’America che hanno bisogno di una riserva. Evitiamo dunque di fare questa figuraccia di fronte all’Italia e al mondo». Oppure Jacopo Berti (Movimento 5 Stelle): «Abbiamo chiesto una perizia al giurista Alessandro Mocellin da cui emerge che siamo di fronte ad un autentico guazzabuglio, per il quale c’è il rischio che si arrivi, per la prima volta nella storia della Repubblica, a uno scioglimento del consiglio regionale e alla rimozione del presidente della Regione per atti contrari alla Costituzione». O ancora Stefano Casali (Lista Tosi), in dissenso rispetto ai colleghi Maurizio Conte e Giovanna Negro, pronti invece ad assicurare il loro sostegno alla maggioranza: «Credo sarebbe opportuno un rinvio in commissione per una revisione» (richiesta respinta).
Ma a metà pomeriggio ad esplodere è stata la distanza tra gli alleati. La rissa è stata scatenata dalle parole del leghista Finco: «Siamo qui per tutelare i cittadini che sono orgogliosi di essere veneti e non italiani». Applausi dai banchi della maggioranza, ma urla dagli scranni della giunta. Quelle dell’azzurra Donazzan: «Ti invito a ridirlo la prossima volta che vai ad una manifestazione degli alpini, perché non si possono dire certe cose qui dentro e certe altre fuori». A quel punto è scattata una sospensione, ufficialmente per fare il punto sui 35 emendamenti depositati dal centrosinistra, ma probabilmente anche per stemperare i toni. Auspicio vano, poiché a sera la guerra è definitivamente scoppiata su Twitter. Tutto è ripartito con il commento dell’assessore Donazzan all’intervento del dem Piero Ruzzante: «Grazie @pieroruzzante perché hai fatto lezione in @Consiglioveneto sulla grande storia del #veneto. #nessunaminoranza ma tanta ignoranza». Mentre la forzista continuava a twittare infiniti elenchi di hashtag sul tema («#veneto è #tintoretto #tiziano #giorgione #canaletto #veronese #mantegna #giotto #nonsonominoranza», e via di questo passo), il capogruppo Finco ha risposto con un contro-tweet di fuoco: «Alleanza fascio comunista. Altro che Dio, patria e famiglia».
Come il cinguettio leghista è apparso sui display forzisti, è esplosa la bagarre finale. L’azzurro Giorgetti ha preso la parola per dare il ferale annuncio: «Sono qui per senso di responsabilità nel mantenere il numero legale. Ma se devo leggere da un capogruppo di maggioranza che c’è una “alleanza fascio-comunista”, allora preferisco andare a cena con mia moglie, dato che l’ultimo treno per Verona è alle 20.12». In quel momento l’orologio di Ferro Fini segnava le 19.45 e le presenze, con la partenza del vicecapogruppo di Fi, sono fatalmente scese a quota 25, su 51 componenti dell’assemblea.
A quel punto al presidente Roberto Ciambetti non è rimasto altro che dare la comunicazione di rito: «Tra dieci minuti verifico il numero legale, altrimenti ci rivediamo il 6 dicembre». Non è stato necessario attendere altri giri di lancetta: vista la malparata, tutti sono corsi a prendere gli ultimi due motoscafi per piazzale Roma. Leghisti su uno, forzisti sull’altro. Delusi e arrabbiati i venetisti Loris Palmerini e Roberto Agirmo : «Qualcuno dovrà assumersi la responsabilità politica di questo rinvio».
Angela Pederiva – Il Corriere Veneto – 1 dicembre 2016