di Cesare Fassari*. Verificata la perdita della maggioranza nel voto sul Rendiconto dello Stato, Berlusconi sale al Quirinale e annuncia le sue dimissioni dopo l’approvazione della legge di stabilità. Tre anni di governo difficili dove per la sanità restano soprattutto i tagli. E adesso? Serve una scossa. Il Governo Berlusconi si dimetterà dopo l’approvazione della legge di stabilità, compreso il maxiemendamento che sarà probabilmente presentato oggi o domani al Senato e che dovrà contenere anche le misure richieste dall’Europa per riportare in asse i conti italiani. La decisione di mollare la spugna è stata annunciata al termine dell’incontro di ieri sera con il presidente della Repubblica Napolitano.
Arriva dopo il flop del voto di ieri sul Rendiconto dello Stato che è passato alla Camera con 308 sì ai quali si sono però contrapposte le 321 astensioni di tutta l’opposizione e di alcuni parlamentari della maggioranza che nei giorni scorsi avevano annunciato, più o meno ufficialmente, di non condividere più il percorso di Governo.
Tempo un paio di settimane (giorno più giorno meno) Silvio Berlusconi salirà di nuovo al Colle per rimettere il suo mandato e a quel punto la palla passerà al presidente Napolitano che dovrà verificare se esistano i presupposti per formare un nuovo Governo.
Al momento è prematuro fare ipotesi sullo sbocco finale della crisi di governo, in ballo due possibili soluzioni: o un nuovo governo in grado di raccogliere una nuova maggioranza o le elezioni anticipate che chiuderebbero definitivamente la legislatura.
Ma è comunque il momento di fare un bilancio di questi tre anni di Governo Berlusconi per la parte che ci riguarda più da vicino e cioè le politiche sanitarie attuate o che si sarebbero volute attuare.
Il carnet delle cose fatte non è molto ricco. I provvedimenti più discussi come il governo clinico, il testamento biologico e in ultimo il ddl Fazio su riforma degli ordini, delle sperimentazioni cliniche ed altre misure, non sono riusciti a superare l’esame parlamentare. Tra le cose andate in porto, invece, meritano di essere ricordate la legge sul dolore e il progetto delle farmacie dei servizi.
Restano poi ovviamente le misure economiche contenute nelle varie manovre che a conti fatti ci lasciano un taglio complessivo di circa 12 miliardi di euro ai finanziamenti del Ssn, la reintroduzione del ticket di 10 euro sulla specialistica e la previsione di un’altra carrellata di ticket a partire dal 2013. A queste misure vanno poi aggiunte quelle riguardanti il pubblico impiego, compresa la sanità, con blocco dei contratti e del turn over.
Altra cosa avviata ma di fatto al palo è il federalismo sanitario, con il varo dei costi standard e la responsabilità politica di presidenti, assessori e dirigenti Asl in caso di bilanci in rosso. Una riforma federalista che, anche per la contingenza della crisi e dei tagli assunti per tamponarla, hanno fatto dire alle stesse Regioni che “il federalismo è morto ancor prima di essere attuato”.
Prima dell’avvento di Ferruccio Fazio alla guida del ministero della Salute, è giusto poi ricordare il Libro bianco di Sacconi (scritto in qualità di super ministro del welfare compresa la sanità) dove si delineava un futuro di riassetto globale del welfare italiano in nome di un universalismo selettivo che, va detto, ha colto diverse adesioni intellettuali e di principio.
Ora tutto questo va in cantina (tranne i tagli al Ssn che restano e peseranno per i prossimi anni chiunque governerà) e si apre una fase nuova per la sanità che non potrà in ogni caso non tener conto del quadro economico interno ed internazionale e che già con la legge di stabilità in approvazione potrebbe vedere rimesse in discussione alcune sue caratteristiche, a partire dagli ordini professionali e dalle liberalizzazioni che potrebbero toccare alcuni ambiti sanitari.
Ma è chiaro che la vera partita sarà quella della quale abbiamo già parlato sul nostro giornale nella serie di interventi di esperti ed economisti in merito alla possibilità di mantenere un sistema sanitario universalistico e finanziato dalla fiscalità generale, senza strappi privatistici nell’accesso ai servizi e alle prestazioni. Se da un lato sembra reistere una maggioranza (anche politica) favorevole al Ssn, dall’altro cresce la convinzione che questo sistema sia “ormai un lusso che non possiamo più permetterci”. Una convinzione basata sul fatto che le spese sanitarie sono destinate inevitabilmente a crescere (per l’invecchiamento e per i costi crescenti delle nuove terapie e tecnologie) a fronte di una prospettiva economica che tende più alla stagnazione che alla crescita, senza più alcuna possibilità di “fare debito”. Ma è veramente così? Dobbiamo rassegnarci a questo inevitabile destino?
No, ma penso che mai come adesso, per salvaguardare universalismo e diritto alla salute, si debba ribaltare il tavolo della discussione. La sanità non è un semplice o mero fattore di spesa è, prima di tutto, una grande opportunità di sviluppo del Paese in senso globale. Se andiamo a vedere quali sono i titoli azionari che resistono in questa crisi dei mercati mondiali scopriamo che la maggior parte di questi fanno parte della filiera della salute. Dal farmaceutico, alle tecnologie fino ai grandi sistemi di gestione di service sanitari.
Da noi il Ssn e le sue aziende non sono ovviamente quotate. Ma esse rappresentano un volano economico formidabile che dobbiamo essere in grado di valutare e usare anche in questo senso. Investire in infrastrutture sanitarie, in tecnologia, in organizzazione e management dei nuovi bisogni di assistenza non significa solo migliorare potenzialità e opportunità per i cittadini ma rappresenta anche una via certa e praticabile di rilancio dell’economia del Paese e del suo know how.
Il Governo che verrà (qualunque esso sia) dovrebbe valutare questa opzione tra quelle da assumere per il rilancio dell’economia. La sanità è pronta alla sfida. Ne sono sicuro al di là delle trite differenze territoriali. E la prova sta in questi oltre 30 anni di sanità nazionale nei quali il Ssn ha dimostrato di saper far proprie innovazioni e tecniche gestionali e di controllo di avanguardia rispetto a tutti gli altri grandi comparti del terziario. In quale altro settore c’é un così serrato e costante controllo dei conti d’esercizio abbinati a politiche cogenti di rientro dal deficit? In quale altro settore c’é una così rapida e certificata innovazione tecnologica in grado di recepire e immettere sul campo quasi in tempo reale le nuove opportunità provenienti dalla ricerca scientifica e tecnologica? In quale altro campo di intervento pubblico convivono così tante professionalità di alto livello formativo con un curriculum medio (tra medici, infermieri e tecnici) di diversi anni di formazione universitaria? E in quale altro settore, infine, convivono esperienze così consolidate di partnership tra pubblico, privato e terzo settore (sia nei servizi che nelle professioni)?
La sanità non è un carrozzone parassitario. E’, al contrario, uno straordinario contenitore di innovazione, di produzione e di terziario avanzato, inserito in modo armonico nel contesto sociale ed economico del territorio. Per tutte queste ragioni la sanità non è un peso ma un’opportunità. E per tutte queste ragioni non basta e non serve più limitarci a “difendere la sanità pubblica”. Occorre credere che questo settore sia in grado, non solo di essere tenuto in vita, ma anche di diventare uno degli assi del nuovo miracolo italiano che attendiamo da troppi anni.
*quotidianosanita.it – 9 novembre 2011