di Stefano Cassamagnaghi. Benchmark forzato nel mirino dei giudici Più discrezionalità agli appaltanti Iprezzi di riferimento in Sanità sono nati allo scopo di creare benchmark virtuosi per l’acquisto di beni e servizi da parte delle aziende sanitarie.
Con la normativa di spending review hanno invece assunto natura imperativa tramite l’introduzione dell’obbligo per le aziende sanitarie di rinegoziare con i fornitori i contratti con scostamenti superiori al venti per cento e, in mancanza di acconto, dando alle stesse la facoltà di recedere dal contratto. Tali disposizioni hanno creato un ampio – e inevitabile – contenzioso, sia sull’elenco prezzi sia sulle richieste di rinegozia-rione. Nella prima metà del 2013, a seguito di alcuni ricorsi delle imprese e delle associazioni di categoria, il Tar Lazio ha annullato l’elenco prezzi dei dispositivi medici affermando che il prezzo non può essere determinato in relazione a categorie generali o astratte di prodotto e perché non si può prescindere dall’oggetto complessivo della fornitura (sent. n. 4603). Sorte diversa hanno avuto i ricorsi sul prezzo dei farmaci, per i quali il Tar ha confermato l’elenco prezzi nel suo complesso (nn. 4404 e 4399), salvo annullarlo in alcuni casi (n. 4912/2013) soprattutto quando il prezzo del farmaco biologico è stato fissato prendendo in considerazione solo il biosimilare (nn. 4599 e 4600). Le diverse conclusioni a cui sono giunti i giudici amministrativi sui farmaci rispetto ai dispositivi medici non convincono. Se è vero che, stante le numerose varianti esistenti sul mercato, per i dispositivi medici è più ardua l’enucleazione del prodotto di riferimento rispetto ai farmaci, è altrettanto vero che anche nella formulazione del prezzo dei farmaci incidono le condizioni contrattuali, come affermato, sia pur incidentalmente, dallo stesso Tar Lazio nelle sentenze sui biosimilari. Le criticità investono dunque il sistema nel suo complesso. II giudice amministrativo si è invece dichiarato privo di giurisdizione a giudicare dalla legittimità delle richieste di rinegoziazione delle aziende sanitarie. Un bene? Probabilmente no, rimanendo allo stato senza risposta una serie non indifferente di questioni, tra cui la corretta individuazione del prezzo unitario di riferimento (si pensi, a esempio, alle forniture “in service”), la rilevanza o meno delle condizioni tecniche o logistiche nell’ambito della rinegozia-zione, l’effetto utile della rinegoziazione (ricondurione al prezzo di riferimento o nella forchetta?) con i connessi problemi di (dis)parità di trattamento: chi fornisce a un prezzo del 19,9% superiore al prezzo di riferimento non sarà soggetto a rinegoziazione. II tutto senza considerare che in caso di fallimento della rinegoziazione obbligatoria, le aziende sanitarie hanno la facoltà – non l’obbligo – di recedere, con il conseguente esercizio di un’assai delicata discrezionalità. Svincolatisi dai contratti onerosi, rimane poi per le aziende sanitarie il problema di procurarsi altrove i prodotti. La legge consente di accedere a convenzioni quadro o a contratti di altre aziende sanitarie, il che peri) non garantisce necessariamente la possibilità di ottenere il bene desiderato. Inoltre il meccanismo dell’adesione crea possibili alterazioni alle ordinarie regole della contrattualistica pubblica sia dalla parte di chi acquista che di chi fornisce. In definitiva il sistema dei prezzi di riferimento è un’evidente forzatura sotto il profilo giuridico destinata – come altre palesi storture dei principi fondamentali (si pensi al blocco delle azioni esecutive di recente travolto dalla Corte costituzionale) – prima o poi a cadere al cospetto delle norme costituzionali e comunitarie in materia di public procurement Se a questo si aggiungono gli scarsi risultati (secondo i dati disponibili) conseguiti in termini di risparmio di spesa e l’enorme contenzioso generato e che si svilupperà in futuro (con i relativi oneri per la finanza pubblica), viene da chiedersi se non sia effettivamente il caso di percorrere strade diverse. L’Agenas sta attualmente svolgendo una complessa indagine istruttoria per cercare di rimediare alle lacune dell’elenco prezzi in vigore, e occorre quantomeno interrogarsi se questo sforzo valga la pena di essere fatto. La risposta potrebbe essere affermativa nell’ottica di fornire, a regime, uno strumento di benchmark a uso di stazioni appaltanti non private della loro discrezionalità nella fissazione delle basi d’asta sulla base delle condizioni specifiche di fornitura (oggetto, durata, modalità ecc.). I princìpi cardine degli appalti pubblici (trasparenza, economicità, efficienza, concorrenza, obbligo di istruttoria e di motivazione) offrono già strumenti sufficienti per creare meccanismi virtuosi e – soprattutto – idonei al caso concreto. II loro corretto esercizio, eventualmente coadiuvato dal benchmark, e soprattutto il mercato – che il legislatore dell’emergenza e della spending review ha dimenticato, con le note conseguenze – sono i veri regolatori. I prezzi imposti sono mezzi di un’epoca passata.
Il Sole 24 Ore Sanita’ di martedì 24 settembre 2013