La miglior qualità della vita? Si respira in montagna, sulle Alpi. Da Belluno, che si aggiudica la 28a edizione dell’indagine annuale realizzata dal Sole 24 Ore, e passando a zig-zag tra cime e tornanti attraverso Aosta, Sondrio, Bolzano,Trento e Trieste fino ad arrivare a Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte. I primi sette posti della classifica che misura il benessere, non solo economico, dei territori italiani – miscelando 42 indicatori in sei macro-settori (si veda l’articolo sulla metodologia a pagina 14) – sono tutti occupati da province alpine. E tutte, escluse Aosta e Trento che perdono qualcosa, sono in miglioramento rispetto al ranking 2016.
In coda alla graduatoria, invece, finiscono soprattutto le aree di Campania e Puglia: ben otto nelle ultime dieci posizioni, con Caserta maglia nera 2017 e Taranto al penultimo posto. Al terz’ultimo c’è Reggio Calabria. A sancire il verdetto è il trend di fondo, che mostra, attraverso i risultati dei singoli indicatori, come il divario tra Nord e Sud del Paese tenda sempre più ad ampliarsi, tanto che per trovare la prima provincia del Sud e Isole bisogna scendere fino al 52° posto di Oristano. Le aree centro-settentrionali, infatti, non solo ribadiscono i loro primati storici negli indicatori economici (dalla ricchezza al lavoro), ma guadagnano spazio anche nei ranking – come demografia e tempo libero – un tempo appannaggio dei territori del Sud, che alla fin fine riescono a primeggiare in blocco esclusivamente nell’indicatore legato alla diffusione della banda larga.
E le grandi città? A parte Palermo, che guadagna due posizioni rispetto al 2016 (ma siamo pur sempre al 97° posto), e Napoli, che conserva il suo 107°, tutte le altre perdono terreno: chi più (Genova, -27 posizioni) e chi meno (Torino – 5; Milano, quest’anno all’ottavo posto, Bologna e Firenze che scendono di sei caselle, e Roma in retromarcia di 11 posizioni fino all’attuale 24° posto).
Il podio alpino
Belluno, dunque, come nel 1990, anno in cui venne pubblicata dal Sole 24 ore del Lunedì la prima edizione della Qualità della vita, torna sul gradino più alto della classifica, recuperando rispetto al 2016 tre posizioni. Merito soprattutto della piazza d’onore, alle spalle di Verbania, conquistata negli indicatori Giustizia e sicurezza; del terzo posto, preceduta solo da Milano e Bolzano, nel settore Ricchezza e consumi; della quinta posizione nell’ambito Demografia e società. A livello invece di singoli parametri Belluno vince per il minor numero di rapine in rapporto alla popolazione e si aggiudica la medaglia d’argento per basso valore dei protesti pro capite e quella di bronzo per il tasso di occupazione.
Al secondo posto scivola la primatista del 2016, Aosta, che conferma il suo primato nella categoria Demografia e ambiente, ma “paga” il 63° posto nel macro-settore Lavoro e innovazione. Sul gradino più basso del podio sale Sondrio, grazie alla vittoria nell’area Ambiente e servizi, ma con la palla al piede (75° posto) della performance nel lavoro: l’area valtellinese, infatti, è zavorrata da una crisi bancaria che ha contagiato anche il tessuto imprenditoriale (si veda il reportage pubblicato dal Sole 24 Ore il 14 novembre scorso).
Sud fanalino di coda
Nella parte bassa della classifica, oltre al terz’ultimo posto di Reggio Calabria, spicca in negativo la presenza di province campane (Avellino al 102° posto, Salerno al 105°, Napoli al 107° e Caserta al 110° e ultimo posto) e pugliesi (Foggia al 103°, Lecce al 104°, Brindisi al 106° e Taranto al 109°), tutte in arretramento, tranne Napoli, che è stabile. La maglia nera Caserta, a parte i brillanti secondo posto per indice di vecchiaia e terzo per tasso di natalità, in 16 indicatori su 42 naviga costantemente oltre la centesima posizione.
Le grandi città
Nella Qualità della vita, stilata a livello provinciale, non si può ignorare il peso dei grandi capoluoghi nelle rispettive aree geografiche. E in questa graduatoria si registra, come detto, un generale calo delle grandi città. Milano, per esempio, frena su Ambiente e servizi, mentre in Giustizia e sicurezza finisce all’ultimo posto. Anche Roma arretra negli indicatori economici, perde il primato in Cultura e tempo libero (a vantaggio di Firenze), mentre nei parametri dell’ordine pubblico resta stabile al penultimo posto.
Le curiosità
Spulciando, infine, tra le curiosità e i record della Qualità della vita 2017, emerge che la provincia più dinamica, rispetto ai risultati dello scorso anno, è stata Ascoli Piceno, capace di recuperare ben 27 posizioni, risalendo dal 42° al 15° posto. In forte recupero anche Crotone, che dal 106° posto è riuscita a scalare ben 21 posizioni, Pescara (+19) e Treviso (+18). Sul fronte opposto, invece, due province liguri – Savona, che ha subìto un vero e proprio smottamento, perdendo addirittura 34 posizioni (dal 24° al 58° posto), e Genova, scivolata dal 21° al 48° posto (-27) – più Massa Carrara, che in un solo anno è scesa dal 49° al 72° posto (-23).
Movimenti bruschi, certo, legati al fatto che rispetto alla 27a edizione della Qualità della vita sono cambiati ben sei indicatori, una scelta dettata dall’esigenza di tener maggiormente conto dell’evoluzione sociale, economica e degli stili di vita degli italiani.
Belluno è capoluogo di un territorio vivace e vitale, dove si inanellano riconoscimenti per l’eccellenza espressa in campo economico, ambientale, sociale. È il miglior territorio nella Qualità della vita 2017 grazie alle ottime prestazioni nella macro-area della ricchezza (si piazza al secondo posto, per esempio, per i bassi protesti pro capite, 2,5 euro in media), nell’ambito del lavoro e della produzione (terzo per tasso di occupazione, quinto per quota di export sul Pil), nella sicurezza e nella giustizia (al primo posto per basso numero di rapine, al secondo per i pochi furti d’auto, al primo per basso indice di litigiosità). «Qui si lasciano ancora le auto aperte – sorride il presidente di Confindustria Belluno-Dolomiti, Luca Barbini -. C’è poca delinquenza, si vive bene».
I servizi al cittadino non mancano: Belluno è al quinto posto per sportelli Pos e Atm ogni mille abitanti e si piazza al quarto posto per acquisizioni di cittadinanza italiana ogni 100 stranieri residenti. «Da cinque anni il Comune orienta le politiche amministrative al miglioramento dei servizi – spiega il sindaco di Belluno, Jacopo Massaro, sostenuto da tre liste civiche, appena riconfermato per un altro quinquennio con il 63,1% dei voti -. Abbiamo cercato di farlo a dispetto della crisi e proponendo una visione positiva che potesse fare da traino allo sviluppo economico».
Insomma, la qualità della vita come strumento per la crescita economica. Ne sono prova, per esempio, i progetti di rigenerazione urbana: il recupero dell’area di Lambioi, ex zona abbandonata e degradata, riconvertita a parco cittadino sulle rive del Piave. Oppure la riqualificazione delle vie del centro storico con l’apertura di spazi di co-working, incubatori di start up che hanno portato alla riapertura di negozi chiusi da anni. «L’obiettivo è rimettere in moto un ciclo economico, che coinvolga anche gli investimenti privati – aggiunge il sindaco -. Crediamo molto in questa politica, tanto che, grazie a un progetto di riqualificazione che prevede appartamenti a canoni calmierati, biblioteche e cineteche, abbiamo vinto il bando statale per le periferie, per il quale riceveremo dallo Stato 18 milioni di contributi su un business plan che ne svilupperà 35».
Ma le politiche attive per il miglioramento sociale e civile non sono l’unico fattore di successo. «La caratteristica dei bellunesi è di avere una silenziosa laboriosità – spiega Massaro -. La protesta è sempre contenuta e composta, il senso della comunità è molto forte». Lo si vede nella raccolta dei rifiuti: la città è al terzo posto in Italia per produzione di differenziata (i premi di Legambiente parlano chiaro) e ha la Tari più bassa del Paese, segno di un senso civico che, con le sole “campane” stradali, ha fatto miracoli.
Spiega il sociologo Diego Cason: «Le città piccole e periferiche (Belluno conta 205mila abitanti, ndr) godono del vantaggio della reciprocità. Qui c’è partecipazione, le attività che servono al singolo devono servire all’intera comunità. La condizione periferica fa sì che il riferimento sia una realtà di solidarietà collaborativa, non di interesse personale». E poi c’è un elemento imprescindibile, la montagna: «Le cime impongono un limite visivo sempre presente – continua Cason -, che suscita impegno per superarlo. È un vincolo con cui si deve convivere e contro il quale si va a sbattere, come è successo con la tragedia del Vajont. Per questo qui ci sono una vitalità e produttività tutte particolari».
Il discorso vale per l’intero territorio bellunese. Nella provincia il 50% degli occupati è addetto alla manifattura, contro una media del 36% del Veneto, del 27% dell’Italia, del 12% dell’Europa. Qui ha vita il distretto mondiale dell’occhialeria, con colossi come Luxottica, Marcolin, Sàfilo e De Rigo, ma anche aziende tecnologicamente avanzate come quelle della micro-meccanica o del distretto del freddo, che esporta per il 90% della produzione. I comparti dei prodotti plastici piuttosto che dell’alimentare hanno saputo adeguarsi ai tempi ed esportano su nuovi mercati.
Per effetto della sciagura del Vajont il territorio ha ricevuto 210 miliardi di vecchie lire che hanno permesso di infrastrutturare il territorio, compensando la mancanza di autonomia amministrativa che invece vige nelle aree direttamente confinanti: in Trentino-Alto Adige da una parte, in Friuli Venezia Giulia dall’altra. Tutto questo ha permesso di rimanere qui, creando lavoro ed ecosistemi economici vitali per il territorio.
Tutto bene, dunque? Non proprio. «Il Pil provinciale – continua il professor Cason – è di 5,7 miliardi l’anno contro i 15 dell’Alto Adige. Questo perché la crisi ha colpito duramente e, se fino al 2005 la crescita del Pil andava di pari passo con quella delle province autonome, negli ultimi dieci anni il reddito pro capite è sceso di 7mila euro e si sono perse 1.200 aziende su 13mila. Dal 2004 è ripresa l’emigrazione, ma questa volta di giovani laureati o diplomati: la struttura produttiva dà lavoro, ma non si trovano i profili qualificati. Nel turismo sono andate perse nell’ultimo decennio 2 milioni di presenze; la concorrenza è formidabile». Il gap con le regioni confinanti è palese nelle infrastrutture, nei contributi pubblici, nella possibilità di spesa.
«La provincia è schiacciata – sottolinea Barbini -. Si vive bene, ma le infrastrutture sono carenti, le valli non sono collegate. Ciò che è stato fatto in passato non basta più. Abbiamo fatto il Digital innovation hub, ma poi manca la banda larga. Confidiamo nel rilancio con i Mondiali di sci di Cortina nel 2021, ma su una necessità di 400 milioni di investimenti, ne sono stati stanziati solo 160».
«Quello che è stato raggiunto in questo territorio è stato fatto senza adeguate politiche regionali per la montagna», conclude il sindaco Massaro. Del resto, la spesa corrente per abitante in Veneto è di 288 euro a persona contro i 2.100 del Trentino-Alto Adige; gli investimenti sono 135 euro per abitante contro i 2.600 delle due province autonome. Belluno si amministra con 40 milioni di euro; erano 80 prima del 2013, poi 20 milioni di contributi statali sono venuti a mancare e altri 20 milioni sono andati ad alimentare il fondo di solidarietà nazionale.
Come dar torto a Sappada, che ha ottenuto la scorsa settimana il passaggio dalla provincia di Belluno al Friuli-Venezia Giulia?
Marco Biscella e Katy Mandurino – Il Sole 24 Ore – 27 novembre 2017