Nel 2012 si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero in 68mila, in aumento rispetto ai 50mila del 2011. Tanti rimangono in Europa, meta preferita la Germania davanti a Svizzera, Regno Unito e Francia. Pochi i ricercatori che arrivano nel nostro Paese e in aumento i pensionati che, spinti dalla crisi, si trasferiscono
Bel Paese arrivederci. O forse addio. Per ora la decisione è una: partire per l’estero, poi si vedrà. Lo hanno fatto nel 2012 ben 68mila italiani, 18mila in più dell’anno precedente. In gran parte giovani, hanno scelto soprattutto l’Europa. Meta preferita la Germania, per un viaggio all’insegna di uno spread particolare, quello del tasso di disoccupazione, che da noi a ottobre è salito al 41,2%per gli under 25, assai peggio del 7,8% tedesco. Come sessant’anni fa i nuovi emigranti partono alla ricerca di un’occupazione. Cervelli o braccia che siano, la fuga è da un Paese in crisi che non offre abbastanza posti. E che anche quando li offre, fa venire voglia di scappare. Perché fuori c’è piùmeritocrazia e una classe dirigente migliore. Via i giovani, dunque. Ma anche i pensionati: su una bella spiaggia esotica qualche sfizio te lo togli anche se l’assegno dell’Inps è quello minimo.
Italiani in fuga
Un popolo di emigranti lo siamo sempre stato. Ma negli ultimi anni di crisi i flussi in uscita sono tornati ad aumentare. Secondo l’Istat gli italiani che nel 2012 si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero sono stati 68mila, in aumento rispetto ai 50mila del 2011 e ai 40mila del 2010. Dati che danno l’idea di un fenomeno in crescita, ma sottostimano il numero dei nostri connazionali che sono effettivamente emigrati: chi se ne va non sempre cancella il proprio nome dai registri pubblici o magari lo fa dopo qualche anno, quando ormai è certo che indietro non torna più. Le partenze recenti vanno ad arricchire le fila già numerose degli italiani oltreconfine: l’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, all’1 gennaio 2013 ne conta 4,3 milioni. Dentro ci sono gli emigrati nuovi, quelli vecchi, i loro figli nati all’estero e chi ha acquisito negli anni passati la nostra cittadinanza. Al giorno d’oggi gran parte delle partenze per l’estero non sono più dal Meridione. Dal Sud i flussi migratori sono diretti per lo più verso Roma e verso il Nord. Mentre è soprattutto chi già abita nelle regioni settentrionali a espatriare: nel 2012 da qui lo hanno fatto in 36mila (14mila dalla Lombardia, 7mila dal Veneto). Dal Sud e dalle Isole sono partiti in 21mila, dal Centro in 11mila. I Paesi più gettonati l’anno scorso sono stati la Germania (vi si sono stabiliti più 7mila italiani), la Svizzera (oltre 6mila), il Regno Unito (più di 6mila), la Francia (più di 5mila). Mete tradizionali per i nostri connazionali. Ma non mancano le novità: “Si stanno formando nuove rotte migratorie verso Oriente e il Brasile, che in vista dei Giochi Olimpici del 2016 ha aumentato le quote di immigrazione”, spiega Delfina Licata, curatrice del rapporto Italiani nel mondo 2013 dellaFondazione Migrantes.
Fuori i giovani talenti, qui il merito non conta
A partire sono soprattutto i giovani, nel pieno dell’età lavorativa. Età media 34 anni nell’identikit tracciato dalla Fondazione Migrantes sui dati Istat riferiti al 2011. Il 22% di chi è andato via due anni fa è laureato, mentre il 28,7% è diplomato. Cervelli in fuga, li chiamano i media. E molti lo sono: un’indagine Istat ha rilevato che a inizio 2010 risiedeva all’estero il 6,4% di chi aveva conseguito un dottorato di ricerca nel 2004 e nel 2006. Ma oltreconfine non si vanno a ricoprire solo posizioni che richiedono professionalità altamente qualificate. In patria si fatica a trovare un posto all’altezza della propria formazione e delle proprie ambizioni? Piuttosto che accontentarsi di un lavoro considerato dequalificante qui da noi, meglio andare a sfornare pizze in un ristorante di Londra, a preparare mojito in un bar di Berlino o a fare il commesso in un negozio sugli Champs-Élysées. Certo, il titolo di studio va chiuso in un cassetto. Ma l’esperienza all’estero e la pratica della lingua straniera aiutano a essere un po’ meno choosy, schizzinosi, per usare un termine caro all’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero.
Si parte dunque soprattutto per ragioni di lavoro: secondo un’indagine condotta dal Censis lo scorso ottobre, il 72% degli italiani all’estero ha un’occupazione, mentre il 20,4% è fuori per motivi di studio. Si cercano chance di carriera e di crescita professionale. Ma non solo. In Italia, a dirla tutta, non si sta più bene: il 54,9% degli intervistati denuncia l’assenza di meritocrazia a tutti i livelli, il 44,1% non sopporta più il clientelismo e la bassa qualità delle classi dirigenti, mentre più di una persona su tre (il 34,2%) soffre l’imbarbarimento culturale della gente. Valigia pronta e via, magari senza più fare ritorno: il 44,8% dei giovani emigrati – stima il Censis – vivono ormai stabilmente in un altro Paese. Che fuori le cose possano andare bene lo dimostra anche un’indagine fatta nel 2012 da Almalaurea, secondo cui a cinque anni dalla laurea chi è andato all’estero guadagna in media 2.282 euro netti, un bel po’ in più dei 1.434 dei connazionali rimasti nel Nord Italia, dei 1.357 di chi lavora al Centro e i 1.222 di chi è impiegato al Sud.
Bel Paese sì, snobbato pure
Da un confronto tra i dati relativi al censimento del 2001 e quelli del censimento del 2011, Gian Carlo Blanciardo, docente di Demografia all’università Bicocca, ha calcolato che mancano all’appello circa 100mila persone che 12 anni fa erano nella fascia tra i 15 e i 29 anni. “Ad andarsene sono stati i giovani migliori – spiega – e la conseguenza è un impoverimento del Paese”. Se la perdita economica della fuga di capitale umano non è facile da stimare, a preoccupare è una certezza: “Questo fenomeno – continua Blangiardo – è la prova che l’Italia non è capace di conservare i talenti utili allo sviluppo e alla crescita. Sessant’anni fa si emigrava spinti dalla fame, oggi dall’assenza di gratificazione”.
Il Bel Paese, insomma, ha perso forza attrattiva. Per gli italiani che se ne vanno. Ma anche per gli stranieri: arrivano meno immigrati (nel 2012 sono stati rilasciati per motivi di lavoro 67mila nuovi permessi di soggiorno, quasi la metà del 2011) e molti lasciano l’Italia (l’anno scorso si sono cancellati dall’anagrafe in 38mila). Che fanno poi i cervelli degli altri Paesi? A venire in Italia non ci pensano proprio. Lavoce.info ha riportato un esempio: dei 287 giovani ricercatori europei che nel 2013 hanno vinto gli starting grants, ovvero dei fondi assegnati dallo European research council, solo otto studiosi hanno scelto l’Italia come sede della propria ricerca. Davvero pochi in confronto ai 60 diretti in Gran Bretagna e ai 46 che hanno scelto la Germania. E gli otto attirati dal nostro Paese? Beh, sette erano italiani. Uno solo straniero. Paese di emigranti snobbato dai talenti stranieri. “L’Italia in questo è simile a Portogallo, Grecia e Polonia – spiega Michele Sanfilippo, docente di Storia moderna all’università della Tuscia di Viterbo -. In parte anche alla Spagna, che però attrae le popolazioni dell’America Latina”.
Via i cervelli, le braccia che fanno?
In Svizzera e in Germania ci si arriva anche con i pullman. Partono da Sicilia e Calabria, attraversano la Penisola e riportano al lavoro emigrati vecchi e nuovi, dopo una breve vacanza nei paesi di origine. Il viaggio dura più di un giorno, ma rispetto all’aereo il risparmio è assicurato. Viaggiano così le braccia in fuga? Le statistiche, secondo il direttore generale del CensisGiuseppe Roma, non danno conto di un aumento dell’emigrazione di operai: “Gli italiani meno qualificati all’estero lavorano più spesso in ristoranti e bar che in fabbrica o in cantiere”. Aggiunge una riflessione Delfina Licata: “Dal momento che in Italia è aumentata la percentuale di chi ha studiato, è possibile che contribuiscano a un’emigrazione di braccia gli stessi diplomati”. Ci sono poi tutti quegli emigrati che non vengono registrati dalle statistiche: “Non solo chi non si è iscritto all’Aire – spiega il professor Sanfilippo – ma anche gli italiani che vivono in Paesi extracomunitari da clandestini. Persone che sono partite con un visto temporaneo e non hanno fatto più ritorno. A loro toccano i lavori di più basso livello, da fare in nero”.
Vita da pensionato ai Tropici
Via i giovani. E via gli ultrasessantacinquenni. Ecco la novità nel panorama dell’emigrazione italiana: nel 2011 se ne sono andati via 3.219 over 65, il 37,3% in più dei 2.345 partiti nel 2010. Nonni d’Italia spinti dalla crisi a passare gli ultimi anni di vita in Paesi come il Marocco, la Tunisia, laThailandia, le Filippine. O ai Caraibi, dove sotto il sole tropicale riempiono quelle che ormai vengono chiamate “spiagge Inps”. Lì riesce a vivere dignitosamente anche chi ha una pensione minima, che da noi non gli consentirebbe nemmeno di arrivare a fine mese. “Ma a emigrare – spiega Licata – sono anche ex dirigenti ed ex manager che hanno raggiunto pensioni d’oro”. Attirati, in questo caso, dagli agi dei nababbi.
Il Fatto quotidiano – 23 dicembre 2013