Gli scienziati hanno individuato il modo di utilizzare un virus per controllare il livello del batterio Clostridium tyrobutyricum nel formaggio, in modo da impedire il deterioramento del prodotto e ridurne al minimo lo spreco.
Proveniente dal silaggio di cui si nutrono le mucche, il Clostridium tyrobutyricum rappresenta un problema soprattutto per i produttori di formaggio a pasta dura o semi-dura. Anche piccole quantità possono produrre acido butirrico, che emana un sapore di rancido, e risultare in un eccesso di accumulo di anidride carbonica che causa l’emergere di crepe nella pasta del prodotto.
Sulla rivista Applied and Environmental Microbiology, gli scienziati dell’Ifr (Institute of Food Research) affermano di aver identificato e caratterizzato un microrganismo che attacca il contaminante in modo specifico. Il loro lavoro si è concentrato su un batteriofago (cioè un tipo di virus che infetta i batteri) che produce una proteina, l’endolisina, in grado di riconoscere il batterio e distruggerne le cellule dall’interno.
Per produrre questa proteina si stanno sperimentando diverse tecniche, con l’obiettivo di testare l’endolisina nel processo di fabbricazione del formaggio. Una dei due processi a disposizione dei ricercatori avrebbe però il rischio di portare, in pratica, una modificazione genetica del prodotto, con tutte le conseguenze negative sulle caratteristiche del formaggio e sulla salute del consumatore che ne conseguirebbero. Occorre dunque fare attenzione ed evitare scelte che finirebbero per ottenere l’effetto contrario di quello inizialmente voluto.
Ilpuntocoldiretti.it – 1 marzo 2011