La Banca d’Italia promuove la manovra di bilancio del 2015, ma avverte che lo spostamento del Tfr in busta paga dovrà restare una misura temporanea per non compromettere i trattamenti previdenziali. E sottolinea che l’impatto della manovra sulla crescita dell’economia, che l’Istat giudica quasi nullo, e sul quale lo stesso governo è molto prudente, dipenderà dalle «modalità con cui verranno effettuati i tagli di spesa». Bisognerebbe evitare di colpire gli investimenti anche degli enti locali, benché ci sia il rischio di un aumento delle tasse regionali sottolineato ieri anche dalla Corte dei Conti, tagliare gli sprechi e ridurre i regimi agevolati. I tecnici di via Nazionale e quelli dell’Istituto di statistica guardano ai nuovi provvedimenti con una certa cautela. «E’ cruciale che la temporaneità del Tfr sia mantenuta», avverte in Parlamento il vicedirettore generale della banca centrale, Luigi Signorini.
Secondo cui «l’adesione dei lavoratori a basso reddito all’iniziativa aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate».
Signorini ha sottolineato che «lo smobilizzo del Tfr maturando inciderebbe negativamente sulla capacità della previdenza complementare, o del Tfr se percepito alla fine della carriera, di integrare il sistema pensionistico pubblico, che in prospettiva presenta bassi tassi di sostituzione, soprattutto per i giovani, mediamente più soggetti a vincoli di liquidità». E l’adesione dei lavoratori a basso reddito all’iniziativa, ha evidenziato, «aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate».
Secondo Signorini è infine «opportuno migliorare la trasparenza delle regole pensionistiche per consentire ai lavoratori di effettuare una scelta consapevole sull’opzione loro concessa». E ha proposto «l’invio della cosiddetta “busta arancione”, ovvero di un estratto conto nazionale che contenga proiezioni della propria ricchezza pensionistica al variare dello scenario macroecono
Più in generale secondo l’Istat i provvedimenti contenuti nella manovra avranno un «impatto netto marginalmente positivo nel 2014 ed un effetto cumulativo netto nullo nel biennio successivo». Motivo: la spinta del bonus degli 80 euro potrebbe annullarsi con le conseguenze negative derivanti dalla clausola di salvaguardia legata all’eventuale aumento dell’Iva.
La stessa Banca d’Italia ragiona su vantaggi e svantaggi di queste clausole. Da un lato il loro utilizzo «rafforza la credibilità dell’impegno del Paese a proseguire nel consolidamento delle finanze pubbliche». Ma nel caso specifico del- l’Iva, l’aumento porterebbe le aliquote «su livelli molto elevati». Cosa da evitare. Luci ed ombre anche sull’Irap: il suo «ridimensionamento consente un significativo alleggerimento del costo del lavoro» ma al tempo stesso «comprime i margini di autonomia delle Regioni, per le quali il tributo rappresenta la principale fonte di finanziamento». Sempre Signorini prevede anche che i tagli alle Regioni potrebbero tradursi in nuove tasse: «Si stima che la riduzione delle risorse disponibili per gli enti decentrati si traduca interamente in un taglio delle spese correnti. Tuttavia, l’evidenza degli ultimi anni mostra che questi enti hanno reagito anche aumentando significativamente le entrate». Per la Banca d’Italia il rinvio del pareggio di bilancio «è motivato» dalla profondità della recessione. E, non ultimo, la manovra realizza un calo del cuneo fiscale e finanzia riforme importanti come l’istruzione e il mercato del lavoro.
L’Istat taglia le stime di crescita del governo (quest’anno — 0,3%, il prossimo +0,5), in lieve ribasso rispetto al Def e stima per il 2014 un aumento della spesa delle famiglie, dopo tre anni di gelo, attribuibile però solo ad un calo della propensione al risparmio. Il potere d’acquisto è fermo, malgrado la gelata dei prezzi.
Per il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi la legge di Stabilità «segna un’importante discontinuità rispetto al passato», finalmente «alza il piede dal freno», ma senza «pigiare l’acceleratore». Ci sono cioè norme importanti sulla riduzione della spesa, ma «manca un’azione decisa sugli investimenti». Nel complesso però il giudizio è positivo: la manovra «potrà rimettere il Paese su un più alto sentiero di sviluppo».
Una scelta volontaria e soltanto per tre anni. Ma le tasse pesano di più (e la rendita di meno)
di Mario Sensini. Sporchi, maledetti e subito. Con la crisi dell’economia che non molla, e i redditi congelati ormai da anni, la prospettiva del trattamento di fine rapporto in busta paga a partire da marzo fa gola a molti lavoratori dipendenti, ma sarà una scelta da ponderare bene, perché una volta fatta non si potrà tornare indietro per tre anni. E, come ha segnato anche ieri la Banca d’Italia, avrà conseguenze sulla pensione integrativa, che potrebbero essere anche pesanti per i redditi più bassi.
Il testo della legge di Stabilità presentato dal governo al Parlamento offre a tutti i lavoratori dipendenti la possibilità di avere in busta paga, mese per mese, la quota del trattamento di fine rapporto che viene maturata, e che oggi o resta in azienda, e si rivaluta fino al momento dell’uscita, quando viene corrisposta in un’unica soluzione, oppure alimenta i fondi pensione complementari. L’opzione si potrà esercitare da marzo del 2015 al giugno del 2018, ma una volta fatta, la scelta non sarà revocabile.
È un provvedimento temporaneo, voluto dal governo come ulteriore sostegno alla ripresa dei consumi, e dell’attività economica. E secondo Bankitalia dovrà restare temporaneo, perché i tre anni, o quel che saranno, di mancata contribuzione al fondo pensione, o di mancata capitalizzazione in azienda, rischiano di pesare parecchio al momento di lasciare il lavoro. Questo soprattutto per i lavoratori dipendenti che hanno i redditi più bassi, per i quali il «tasso di sostituzione», cioè più o meno la differenza di reddito tra l’ultimo stipendio e la prima pensione, che oggi è poco sopra il 70% ma che nel giro di un ventennio scenderà in media a circa il 60%, è particolarmente penalizzante.
Senza contare il «costo» in termini di pensione integrativa, o di liquidazione più bassa, nella scelta va considerato anche l’onere fiscale, che se si sceglie per la monetizzazione è sensibilmente superiore. Il trattamento di fine rapporto oggi è infatti soggetto a una tassazione separata, che è di solito inferiore a quella dei redditi Irpef (di fatto è l’aliquota media effettiva dei cinque anni precedenti). Una volta entrato in busta paga, invece, il gruzzoletto verrebbe tassato ad aliquota marginale, che in funzione del reddito dichiarato può arrivare anche al 43%.
Il Tfr in busta paga, dunque, non è penalizzato dal punto di vista fiscale solo per i lavoratori dipendenti che dichiarano meno di 15 mila euro lordi annui. Per loro, tutto il Tfr maturando in busta paga vale 66 euro netti al mese. Per chi ne dichiara 25 mila l’anno, il Tfr vale 109 euro, ma costerebbe 50 euro di tasse l’anno in più. Che salirebbero a quasi 600 l’anno per chi ha i redditi più alti. E, comunque, un disperato bisogno di soldi. (Corriere della Sera)
Fonti varie – 4 novembre 2014