«Senza il decreto del governo sarebbero stati intaccati i conti sopra i 100 mila euro e gli obbligazionisti ordinari». Tutta colpa della Ue. Se all’indomani del decreto del governo per salvare Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Cassa Ferrara gli azionisti e i sottoscrittori di obbligazioni subordinate hanno perso i loro risparmi, la responsabilità va individuata nella Commissione Europea.
A sostenerlo è Bankitalia, durante l’audizione di Carmelo Barbagallo alla Camera mentre il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, rivendica «con orgoglio l’azione del governo per salvare le banche, i lavoratori e i correntisti senza usare denaro pubblico».
Barbagallo è il capo del dipartimento vigilanza bancaria di Via Nazionale e ieri, davanti alla commissione Finanze, ha spiegato che il ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi per salvare i 4 istituti «non è stato possibile per la preclusione manifestata da uffici della Commissione Ue, da noi non condivisa, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di stato gli interventi del fondo». Il dirigente di Bankitalia ha poi aggiunto che l’utilizzo del Fondo, sommato alle risorse apportate dalle banche, «avrebbe consentito di porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle 4 banche». Molto critico anche Renzi, sia verso la Ue sia nei confronti dei precedenti governi e di chi ha gestito le 4 banche fallite: «Quello che è successo a certe banche è il frutto di venti anni di scelte discutibili. In passato i governi hanno deciso di non intervenire per il consolidamento del sistema: credo sia stato un errore. La Merkel ha messo 247 miliardi per salvare il sistema del credito tedesco, che ancora oggi è peggio del nostro».
L’Italia è stata invece costretta a utilizzare, per il salvataggio delle 4 banche, il fondo di risoluzione, uno strumento alimentato attraverso i contributi del settore, altrimenti da Bruxelles sarebbe partita l’accusa di aiuto di Stato. Una ricostruzione della vicenda, tuttavia, non condivisa dalla commissione Ue, che tramite un portavoce ha segnalato: «La decisione di far scattare la risoluzione usando il fondo nazionale di risoluzione è stata presa dalle autorità italiane». Un documento della commissione ha rivelato, tra l’altro, che, a novembre, alla vigilia della decisione all’Italia sono state illustrate tre soluzioni. Un paio delle quali avrebbero in ogni caso previsto forti perdite per azionisti e obbligazionisti subordinati.
Resta che Barbagallo ha respinto con fermezza le accuse in merito ai danni subiti da circa 130 mila risparmiatori. «Senza il decreto legge e senza l’intervento di risoluzione saremmo andati verso il bail in (salvataggio a carico dei privati, ndr), e sarebbero stati intaccati anche i risparmi dei correntisti sopra i 100 mila euro e gli obbligazionisti ordinari», ha detto. In altri termini, in caso di bail in sarebbero stati a rischio anche «i circa 12 miliardi di euro di massa non protetta delle quattro banche, inclusi i 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate».
Sul fronte bancario in audizione ha parlato Giovanni Sabatini, il direttore generale dell’Abi (Associazione bancaria italiana), sostenendo che sarebbe stato possibile ricorrere al Fondo interbancario. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha invece tenuto a ricordare che i risparmiatori colpiti potranno ricorrere in ultima istanza al giudice. Patuelli ha poi annunciato che al comitato esecutivo dell’Abi del 16 dicembre ci sarà un consulente legale, per valutare come fare fronte agli oneri (2,3 miliardi) imposti al sistema bancario per salvare i 4 istituti.
Andrea Ducci – Il Corriere della Sera – 10 dicembre 2015