Bisogna tornare ad allora, al lontano 1985, per trovare un’inflazione più alta di quella attuale: l’8,4% di aumento su base annua registrato dall’Istat per il mese di agosto. Con la differenza, non trascurabile, che mentre a quei tempi il trend era ribassista, con i prezzi ricondotti a dinamiche più miti dopo 12 anni consecutivi di corsa a doppia cifra, oggi accade esattamente il contrario.
Medie sbilanciate verso l’alto ancora una volta dall’energia, che con il passare dei mesi diventa un capitolo sempre più ingombrante e preoccupante nei bilanci di famiglie e imprese. L’aumento mensile dello 0,8% e l’avanzata di mezzo punto nel confronto annuo dell’inflazione italiana si alimentano soprattutto qui, con i beni energetici a schizzare verso l’alto di 45 punti, impennata che trascina verso l’alto altri capitoli, in primis i trasporti e i prodotti alimentari, aree in cui la crescita annua dei prezzi supera il 10%, dunque con valori oltre la media.
Shock rilevante (ad agosto 2021 l’inflazione era pari al 2%, meno di un quarto rispetto ai livelli attuali) che inizia progressivamente a riverberarsi sull’intero paniere monitorato dall’Istat. Se è vero infatti che depurando il dato globale dalle componenti più volatili, energia ed alimentari, l’inflazione di fondo si riduce al 4,4%, si tratta anche in questo caso di un valore del tutto fuori scala: per trovare un dato superiore occorre tornare al mese di maggio del 1996.
Ancora più “antico” è invece il massimo precedente per il cosiddetto carrello della spesa, sotto-paniere Istat che include generi alimentari e prodotti per l’igiene e la casa. Cresce ora ad un ritmo annuo vicino al 10%, solo nel 1984 si era registrato un livello più elevato.
Tra luglio e agosto, sottolinea l’Istat, l’accelerazione su base annua dell’indice generale è effettivamente legata ai prezzi dei beni (+11,1% a +11,8%), mentre la crescita di quelli dei servizi rimane sostanzialmente stabile (da +3,6% a +3,7%). Così il differenziale inflazionistico tra questi ultimi e i prezzi dei beni rimane quindi negativo, ma si amplia a -8,1 punti percentuali (era -7,5 a luglio).
Gap che si allarga ancora una volta per colpa dell’energia, dove i movimenti di prezzo sono oltre ogni riferimento passato. L’energia elettrica sul mercato libero, ad esempio, balza di oltre 20 punti in un mese, arrivando a più che raddoppiare (+135,9%) nel confronto con agosto 2021. Un poco meglio va al gas da città, che su base annua lievita del 62,5%. Dinamica al rialzo mitigata solo in parte dal rallentamento congiunturale di gasolio e benzina (-9,2% e -10,4% rispetto a luglio), sollievo minimo a fronte dei massicci rincari registrati nelle altre voci.
Allarmi peraltro già registrati nei valori assoluti, con le importazioni di gas e greggio ad affondare nel 2022 la nostra bilancia commerciale: se prima della crisi Covid, nel 2019, l’esborso medio per importare energia era pari per l’Italia a poco più di quattro miliardi al mese, nel primo semestre siamo arrivati a spenderne oltre 10, emorragia che peraltro si amplia con il passare dei mesi.
E infatti, quasi quattro degli 8,4 punti di aumento annuo dell’indice dei prezzi sono spiegati dall’energia; aggiungendo alimentari lavorati e non il racconto dell’inflazione odierna è per almeno due terzi completo.
Nell’ipotesi di crescita zero nei prossimi mesi, l’inflazione acquisita per il 2022 nelle stime Istat è già pari al 7%, livello che per Confcommercio verrà superato, arrivando al 7,5%. Mettendo a rischio – ipotizza l’ufficio studi della confederazione (si veda altro articolo a pagina 4) – da oggi ai primi sei mesi del 2023 circa 120mila imprese del terziario di mercato e 370mila posti di lavoro.