«I ticket sui ricoveri fanno parte del nostro patto per la salute che dovremo definire nei prossimi mesi, possibilmente d’intesa con le Regioni, altrimenti il governo andrà avanti da solo.
La compartecipazione sui ricoveri negli ospedali rientrano nel pacchetto anche perché siamo già al limite della fiscalità generale e non possiamo più chiedere niente a tutti i cittadini. L’Italia ha un sistema sanitario universale, accessibile a tutti, che ha però le sue esigenze di bilancio». Il ministro della Salute Renato Balduzzi torna nella sua Alessandria, viene accolto e applaudito da cinquecento persone e in un’intervista al Secolo XIX, scopre le carte sulle prossime mosse che ha in mente per tenere in piedi e rilanciare la sanità. Un ticket per il ricovero di quanti euro? «Non ha senso anticipare la discussione. Il ticket è un’ipotesi, ma dipende da tanti fattori».
Sta pensando anche a una tassa di scopo sui superalcolici e sui cibi spazzatura? «Sì, il documento doveva rimanere riservato è uscito da due ministeri diversi, a Roma è così. La tassa sui superalcolici ci permetterebbe di raggiungere due obiettivi: rende consapevoli i cittadini che devono prestare grande attenzione agli stili di vita e alla qualità dei cibi e permette di recuperare risorse da mettere subito in circolo. Potremmo fare investimenti sui nuovi ospedali, ma anche acquistare apparecchiature e mettere a norma tantissime strutture sanitarie».
Nel pacchetto c’è anche la tassa sul fumo per finanziare le Regioni? «No, una cosa per volta, è sul tavolo, ma per il futuro. Ora in primo piano ci sono i ticket». Cosa vuole cambiare? «Tanto per cominciare il nostro sistema sanitario non può fare a meno dei ticket, ma devono essere rimodulati perché ora non rispondono a criteri di equità, senza considerare il fatto che spesso cambiano da regione a regione. Dovremo introdurre elementi di maggiore equità sociale graduando la partecipazione e le esenzioni in funzione del reddito familiare. Se una persona ha una malattia cronica, ma ha un reddito medio alto, è giusto che paghi il ticket».
Dove pensa di tagliare per risparmiare? «Il sistema sanitario italiano è buono, lo dice anche l’organizzazione mondiale della sanità e quindi dobbiamo fare ogni tipo di sforzo per mantenere alto il livello e per migliorarlo , ottimizzando le risorse che abbiamo a disposizione. Questo governo deve dare un segnale forte che l’Italia non abbasserà la qualità dei servizi, ma dobbiamo da subito ridurre l’inappropriatezza delle prestazioni e tagliare gli sprechi: i margini di manovra sono molto alti anche in quelle regioni che vengono definite virtuose. E una battaglia che dobbiamo fare tutti, non solo il ministro, l’assessore o il direttore generale. Faccio un esempio: dobbiamo ridurre il quantitativo di medicinali che abbiamo nello stipetto, mentre il primario di un reparto deve fare il massimo con il budget che gli viene assegnato».
La Regione Lombardia ha deciso che da marzo alcuni ospedali consegneranno ai pazienti che vengono dimessi , un documento che evidenzia quanto è costato il ricovero. E d’accordo? «E’ una soluzione interessante che va nella direzione della consapevolezza. Tutti noi dobbiamo fare qualcosa per difendere il nostro servizio sanitario nazionale che, ripeto, per molti aspetti è unico al mondo».
E ora per adeguarsi all’Europa parte la liberalizzazione delle farmacie… «E un settore che ha bisogno di aria perché da parecchi anni ci sono troppe rigidità; non vogliamo fare stravolgimenti perché ci sono aspetti molto delicati che vanno ad intaccare la tutela della salute, ma l’apertura al mercato non può che fare bene ed essere di grande utilità anche per la categoria e sarà un segnale importante per tutti. Non sul fronte dei prezzi dove siamo già intervenuti a dicembre con il decreto salva-Italia».
La situazione delle protesi Pip è sotto controllo? «Lo sarà tra quindici giorni quando le Regioni e i Nas avranno concluso l’indagine capillare sul territorio».
Ma ci sono migliaia di donne in ansia, cosa pensa di fare il ministero? «Le dorme sono invitate a controllare le strutture in cui sono state operate o gli ospedali per verificare la loro situazione e chiedere consigli, ma sia chiaro: non c’è il rischio di contrarre tumori, semmai aumentano le possibilità che si rompa la protesi. Siamo in stretto contatto con il ministero della Salute francese e a fine gennaio sarà pronto il protocollo sulla valutazione del rischio, ma finora non ci sono le condizioni per decidere di procedere a una sostituzione generalizzata delle protesi Pip».
Il gruppo San Donato che fa capo all’imprenditore Giuseppe Rotelli si è assicurato il San Raffaele. E’ una soluzione che la soddisfa? «Sarò soddisfatto quando sarò sicuro che potrà essere consolidato il valore complessivo di una struttura che ha tante eccellenze sia nell’assistenza che nella ricerca. Le condizioni per fare bene mi pare che sia siano, ma prima di sbilanciarmi preferisco aspettare ancora un po’».
E’ ministro della Salute da ormai due mesi, si è mai pentito di aver accettato l’incarico? «No anche perché avverto una grande fiducia da parte della gente. La bellezza è la temporaneità dell’impegno, altrimenti sarebbe un incubo. Certo la mia vita è cambiata: le giornate sono pesantissime, sembrano non finire mai, il cellulare squilla sempre ma ci sto prendendo le misure. Ho dovuto ridefinire anche il patto familiare con mia moglie Barbara e con i ragazzi; per ora ce la facciamo, semmai mi devo ancora adeguare all’emergenza continua: se c’è uno starnuto in Australia, si scatena subito il panico anche in Italia: è così e bisogna riuscire a mantenere gli equilibri tra problemi, incontri ed emergenze quotidiane. Un’ora di ritardo negli appuntamenti sono la regola anche per uno come me che è sempre stato puntuale».
Si sente un ministro a termine o pensa di andare avanti? «Il governo è di transizione e di traghettamento e ci sono tante cose da fare per aiutare l’Italia, a partire dal patto per la salute. Mi ha stupito la fiducia generalizzata e questo è lo stimolo giornaliero ad andare avanti. Il nostro compito è quello di ridare fiducia ai cittadini. Mi ha colpito un aneddoto dei primi giorni a Roma: gli uscieri di Palazzo Chigi erano stupiti e uno di loro ha detto “Questi signori stanno dentro a lungo, ma non bisticciano”. Noi abbiamo poco tempo e una tabella molto intensa ma dobbiamo far rialzare la testa all’Italia».
Il Secolo XIX – 13 gennaio 2012