di Lucilla Vazza. Gli ospedali della Toscana fanno più debiti di quelli della Campania, e quelli del Lazio fanno peggio di tutti, macinando perdite shock per 661 milioni. È lo scenario a sorpresa, ma non troppo, disegnato dall’Agenas nel report con i conti delle aziende ospedaliere per il 2014.
Lazio da record (negativo)
Una maglia nera straguadagnata quella del Lazio che, con 9 aziende (compresi Istituti di ricerca e policlinici), detiene il davvero poco lusinghiero record negativo di 661 milioni di euro. Peggio di tutti, l’Ospedale S. Camillo di Roma che piazza nella sanità pubblica una bomba da 159 milioni, seguito dal S. Filippo Neri che arriva a superare i 105 milioni. Numeri da capogiro, che fanno sembrare virtuosa l’Ares che gestisce il 118 e che perde “appena” – si fa per dire – 19,5 milioni.
La montagna di debiti laziale è certamente ben lontana dai valori del secondo posto del podio che va al Piemonte, dove si sono accumulate perdite per 73,4 milioni nelle sei aziende ospedaliere, tra cui spicca la Città della Scienza di Torino che, da sola, pesa per 30,6 milioni, quasi la metà del totale.
Terzo scalino per la Toscana, storicamente virtuosa e ormai ex “ faro” del benchmark: oggi arriva a sfiorare i 60 milioni di rosso, di cui un terzo a carico dell’azienda universitaria di Siena (-22,4 mln).
Campania felix
Ma chi spiazza tutti, in controtendenza decennale, la neo virtuosa Campania, dal 2007 in piano di rientro, che ha chiuso il bilancio delle ben 10 aziende con un attivo di 20 milioni, trainata dalla Seconda università di Napoli in attivo per 8,2 mln.
Conferme positive per il Friuli Venezia Giulia con 8 milioni guadagnati. Mentre, sempre in controtendenza Sud, strappa la medaglia di bronzo la Sicilia con un attivo di oltre 6 milioni, dove eccelle la performance dell’Ospedale Cervello di Palermo (+2,4 mln).
Le conseguenze del malgoverno
Ma c’è un risvolto nuovo. La polpetta avvelenata presente nelle bozze della legge di Stabilità 2016. Se passassero le nuove regole, per 24 tra ospedali, Irccs e policlinici con uno sprofondo superiore al 10% tra costi e ricavi, o in valore assoluto, pari o superiore a 10 milioni, scatterebbe l’allarme. E in queste aziende partirebbe automaticamente un piano di rientro triennale sotto la supervisione e la responsabilità del direttore generale, che in tre anni dovrà mettere i conti in ordine, altrimenti perderebbero la poltrona. Ci sono poi dei distinguo: se l’azienda in rosso si trova in una Regione già sottoposta a piani di rientro, allora per le nuove ipotesi normative, sarebbe valutata la situazione nel merito, essendoci già un commissario ad acta preposto al ripiano economico della sanità regionale.
Il Sole 24 Ore sanità – 21 ottobre 2015