L’avvelenamento di animali domestici e selvatici è un fenomeno tuttora presente sul nostro territorio, nonostante l’attenzione delle istituzioni al problema e l’emissione di ordinanze che vietano l’utilizzo e la detenzione di esche e bocconi avvelenati. Questo fenomeno non rappresenta solo un pericolo per la salute animale: il veleno può diffondersi anche nell’ambiente, inquinando il terreno e le acque superficiali, o entrare direttamente in contatto con le persone, in particolare con i bambini, esponendoli a un grave rischio per la loro salute. Il numero di campioni sospetti conferiti all’IzsVe, anche dopo l’entrata in vigore della prima ordinanza ministeriale alla fine del 2008, è fortemente aumentato. Nel triennio 2011-2013 sono pervenuti all’IZSVe circa 1.300 campioni sospetti di cui il 40% positivi alle analisi tossicologiche. Ciò dimostra la necessità di rafforzare le attività di monitoraggio e controllo da parte delle autorità sanitarie, e di potenziare l’informazione verso i cittadini. Il report IzsVe
Le cause di avvelenamento
Dalle analisi condotte dall’IZSVe nel periodo 2011-2013 risulta che le sostanze più utilizzate per la preparazione di esche sono i rodenticidi anticoagulanti, che insieme a metaldeide e carbammati, costituiscono circa il 75% delle sostanze utilizzate nelle esche.
Nei casi di sospetto avvelenamento di animali è emerso invece che l’uso di rodenticidi anticoagulanti è decisamente inferiore rispetto a quanto rinvenuto nei bocconi avvelenati. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che i casi di avvelenamento di rodenticidi anticoagulanti, se diagnosticati e trattati tempestivamente con vitamina K, possono risolversi con la guarigione dell’animale.
La diffusione nel Triveneto
Nel triennio 2011-2013 il Laboratorio contaminanti e biomonitoraggio della SCS2 – Chimica dell’IZSVe ha analizzato campioni provenienti da tutto il Triveneto riguardanti quasi 1.300 casi sospetti. Di questi circa il 40% sono risultati positivi alle analisi tossicologiche.
I dati relativi a questi campioni, opportunamente registrati e valutati, hanno permesso di disegnare mappe epidemiologiche che descrivono l’andamento del fenomeno sul territorio: la distribuzione dei casi di avvelenamento e di ritrovamento di esche avvelenate, la tipologia delle sostanze utilizzate nelle diverse zone.
Queste mappe possono fornire indicazioni utili ai cittadini e ai veterinari, indicando i territori in cui il fenomeno ha avuto una maggiore diffusione negli ultimi anni. Inoltre le autorità possono ricavare informazioni importanti per limitare la diffusione del fenomeno.
Le specie più colpite, in base alla casistica registrata dall’IZSVe, risultano essere il cane ed il gatto, mentre meno del 10% dei casi di avvelenamento riguarda altre specie, come volpi o volatili. Molto probabilmente però i casi di avvelenamento di animali selvatici sono sottostimati, perché spesso le carcasse non sono rinvenute sul territorio.
Fonte: IzsVe – 9 gennaio 2015