«Non abbiamo mai visto una situazione del genere, oramai i danni si contano a milioni». Sono passate appena due settimane dagli ultimi casi (con abbattimenti) a Nogara, Sorgà e Salizzole ed ecco che ne spuntano altri tre, sempre nella Bassa: a Ronco all’Adige, Cologna Veneta e ad Angiari. Con tanto di ampli cordoni sanitari per arginare il virus H5, che si sta diffondendo ad alta velocità soprattutto tra le specie di maggiori dimensioni, tacchini e fagiani. Per capire la gravità del fenomeno basta prendere in mano una cartina della provincia di Verona e concentrarsi sulla zona a sud dell’autostrada A4. La mappa degli ultimi contagi riguarda centri distanti fra di loro, dalla zona che confina con la provincia di Mantova e di Rovigo a quella che dà sul Vicentino e sul Padovano. Ogni volta che viene individuato il virus, la procedura è la stessa, severissima: dev’essere abbattuto ogni capo che può essere venuto in contatto con quello contaminato, sia esso domestico o selvatico. Si parla di migliaia di uccisioni alla volta, di quintali di carne da smaltire.
Ma a preoccupare ancora di più gli allevatori sono le restrizioni che ne conseguono. Ogni allevamento infetto si trasforma in una zona «rossa» (tecnicamente definita «di protezione») di svariati chilometri di raggio e in una zona «gialla» («di sorveglianza») ancora più ampia. Un esempio: due giorni fa, l’H5 è stato individuato in un’azienda a Ronco, in via Ca’ Brusà: la zona «rossa» è arrivata ad estendersi a quasi l’intero territorio comunale, unitamente a quello di Palù, Zevio e Oppeano. Quella «gialla» si copre altri diciassette comuni. Accanto a diverse misure preventive (censimento, ammassamento dei capi in un unico edificio) in queste aree ci sono pesanti restrizioni al trasporto, vietato «tout court» nell’area di protezione, permesso con qualche deroga (ad esempio le uova da cova) nella seconda.
Insomma, si tratta di un blocco delle operazioni necessarie in qualsiasi allevamento che può andare avanti fino ad un mese. «Se si tiene conto che in questo momento, tutta la Bassa è dentro una zona di protezione oppure di sorveglianza si capisce come l’intero settore sia bloccato – nota Claudio Valente, presidente di Coldiretti Verona – e stiamo parlando dell’area in Europa a maggior densità di allevamenti avicoli». Il danno maggiore, a livello economico, è dovuto al blocco dell’accasamento, che sospende del tutto i cicli di riproduzione degli animali. «Questo significa – prosegue Valente – che il reddito degli allevatori viene completamente azzerato, nonostante molti di loro siano ricorsi a mutui pur di mettere in sicurezza gli allevamenti dal punto di vista sanitario. Non c’è più incentivo a proseguire con lavoro: queste aziende hanno bisogno di aiuto». L’epidemia di aviaria ha effetti anche sui prezzi: i ben informati hanno notato nelle ultime due settimane rincari all’ingrosso di almeno il 20%. Domani sera, la quotazione alla borsa merci di Verona dovrebbe aggiornare il prezzo ufficiale fermo ormai da inizio agosto. Resta la consolazione che la carne nei negozi è sicura, e non sembra esserci la psicosi, scattata in alte occasioni tra i consumatori.
Gli abbattimenti di questi giorni, 40mila nei tre allevamenti – fa sapere Fabrizio Cestaro, direttore dei servizi sanitari dell’Usl Scaligera – tutti non preventivi, hanno riguardato tacchini. Ma si ammalano facilmente anche i fagiani . «La nostra attività è completamente ferma – racconta Paolo Vivaldi – proprietario di uno dei principali allevamenti destinati ai ripopolamenti – abbiamo 150mila capi da consegnare entro l’estate, prima dell’apertura della caccia. Siamo bloccati da un mese e rimarremo fermi per altri 30 giorni».
Davide Orsato – Il Corriere di Verona – 24 agosto 2017