Perdita di uniformità dei percorsi formativi, mancanza di garanzie didattiche e valutative, sbilanciamento della figura dello specializzando verso l’aspetto lavorativo, blocco assunzioni per i neospecialisti e forza lavoro a buon mercato, nuovo sconvolgimento organizzativo del percorso formativo. Queste le principali criticità sollevate da FederSpecializzandi in merito agli accordi siglati da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto.
“Dall’istituzione del percorso nazionale di formazione specialistica, ottenuto con anni di grande impegno di numerose sigle e gruppi di specializzandi, e successivamente dell’istituzione del concorso di accesso nazionale, abbiamo puntualmente letto di ipotesi che, a vario titolo, hanno proposto l’introduzione di un ‘doppio canale formativo’. A mezzo stampa apprendiamo ora che Emilia Romagna, Lombardia e Veneto hanno firmato con il Governo dei pre accordi per l’autonomia su alcuni specifici ambiti sanitari, tra i quali anche quello della formazione medica specialistica. Esprimiamo la nostra netta contrarietà sia a proposte che mirino a riconversioni del contratto di formazione in contratti lavorativi, sia a percorsi post-lauream paralleli ed aggiuntivi a quelli previsti a livello nazionale”.
Così in una nota FederSpecializzandi commenta gli accordi siglati da Emlia Romagna, Lombardia e Veneto e motiva così la propria posizione:
• Perdita di uniformità dei percorsi formativi: Creare un percorso parallelo nel SSN implicherebbe l’instaurarsi di disparità e disomogeneità nella formazione, anche all’interno della stessa tipologia di scuola, con il risultato che il titolo del diploma di specializzazione potrebbe corrispondere a una professionalità molto variabile da specialista a specialista, dipendente dalle diverse esperienze non standardizzate né definite univocamente. Se i contratti sono insufficienti per coloro che provano il test, la soluzione è quella di aumentare le risorse a livello nazionale, non di creare percorsi di serie A e serie B. Peraltro, con il DM 70 è già prevista una rotazione in struttura afferenti al SSN e non solo all’interno di quelle universitarie.
• Sbilanciamento della figura dello specializzando verso l’aspetto lavorativo: La separazione del percorso formativo provoca, poi, un’alterazione dell’equilibrio delicato che vede attualmente nello specializzando coesistere le due figure del medico in formazione, che acquisisce competenze, e del medico lavoratore che eroga un servizio assistenziale, proporzionale alle competenze già acquisite e con progressiva assunzione di responsabilità e raggiungimento dell’autonomia. Un contratto di natura lavorativa spingerebbe le aziende a gestire i medici in formazione come meri fattori di produzione, legittimando la dequalificazione del momento formativo e vincolando gli specializzandi a concentrare le loro energie alle attività di gestione del reparto senza curarsi della loro crescita.
• Blocco assunzioni per i neospecialisti e forza lavoro a buon mercato: Anche dal punto di vista dell’accesso al mondo del lavoro, proposte che inquadrino i medici in formazione con contratti lavorativi risultano essere tutt’altro che vantaggiose poiché andando a “coprire” i bisogni delle strutture del SSN mediante gli specializzandi in costante ricambio, riducono ulteriormente il turnover di assunzione di neospecialisti, come peraltro ben evidenziato dal fatto che simili contratti non garantiranno l’instaurazione di alcun rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Risulta pertanto piuttosto chiaro che una simile proposta trovi origine dalla necessità di “tappare i buchi” presenti nell’organico delle aziende sanitarie con personale a basso costo rispetto a quello strutturato.
• Nuovo sconvolgimento organizzativo del percorso formativo, a pochi anni dall’entrata in vigore del Decreto Interministeriale n° 68 del 2015 sul riordino delle Scuole di Specializzazione: Appare del tutto inadeguato rivedere ulteriormente gli ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione sulla base della compatibilità con questo momento finale nel SSN per gli specializzandi all’ultimo biennio. Serve ancora un grande sforzo per applicare uniformemente le direttive presenti del Decreto Interministeriale n° 68 del 2015 e un nuovo sconvolgimento organizzativo del percorso formativo non farà altro che rallentare (se non completamente vanificare) i progressi fatti sino ad ora. È assolutamente necessario invece lavorare sugli ordinamenti dal punto di vista didattico, sulla definizione delle competenze da acquisire nei vari percorsi formativi e sulla loro valutazione e certificazione.
“Chiediamo con forza che si difenda un percorso di specializzazione unico finalizzato ad assicurare le medesime competenze su scala nazionale, e che spinga le singole Scuole a migliorare il proprio livello formativo per diventare poli di attrazione davvero professionalizzanti. Il nostro Sistema Sanitario è nazionale, e i professionisti che ne costituiscono il cuore devono potersi formare al meglio indipendentemente dalla loro sede di origine. La formazione medica è un patrimonio di tutti ed una frammentazione dei percorsi formativi su base regionale rischia di smantellare questo importantissimo principio di universalità”, spiega FederSpecializzandi in una nota.
“Se si vogliono trovare risorse per gli specializzandi non si ricorra a strategie per acquisire manovalanza a buon mercato, ma si investano fondi per i contratti nazionali ancora mancanti e si tuteli l’uniforme acquisizione delle competenze. Ci auguriamo – concludono – che altre rappresentanze mediche si esprimano negativamente a riguardo e invitiamo i decisori politici a tornare sui propri passi revocando questi accordi preliminari sulla formazione medica specialistica”.
Quotidiano sanità – 3 marzo 2018