La conferma arriva indirettamente dalle parole del presidente del Consiglio, interrogato ieri sul tema alla Camera. Conte ha naturalmente ribadito la «centralità del Parlamento», sovrano nel scegliere la strada da seguire. Ma ha anche indicato quella che a questo punto dovrebbe diventare l’ipotesi del governo: le bozze finali, ha spiegato il premier, «potranno essere assegnate alle commissioni competenti per i pareri» che potranno elaborare «proposte di modifica in forma di condizioni o osservazioni» che saranno «tenuti nella massima considerazione dal governo».
Si tratta dell’iter sempre ipotizzato in casa Lega e al ministero degli Affari regionali, in linea con le pre-intese firmate a suo tempo con il governo Gentiloni. Ma è qualcosa di diverso dall’«emendabilità» piena dei testi, con le stesse dinamiche delle leggi ordinarie, rilanciata in più di un’occasione da molti esponenti Cinque Stelle. Uno scenario, quest’ultimo, complicatissimo anche sul piano pratico, perché su ogni modifica ulteriore andrebbe poi cercato l’accordo con i presidenti di Regione per la firma definitiva dell’intesa.
A decidere saranno comunque le Camere, sempre che si riesca ad arrivare almeno a un testo condiviso da sottoporre al loro esame. Oggi a Chigi si tornerà a discutere di sovrintendenze, ma i tavoli sulle risorse si sono fermati, in attesa di un incontro fra il premier, che ha avocato a sé il coordinamento delle trattative, e i presidenti di Regione. La riunione, attesa inizialmente ieri, deve ora trovare una nuova data, forse la prossima settimana. E deve soprattutto cercare di rompere il muro della freddezza alzato in particolare dai presidenti leghisti di Lombardia e Veneto. «Se queste sono le premesse è inutile che venga a Roma – taglia corto il presidente della Lombardia Attilio Fontana – Se le condizioni saranno diverse sicuramente verrò». Le «condizioni» a cui si riferisce il governatore leghista riguardano prima di tutto il capitolo finanziario. Le competenze trasferite, anche se tagliate drasticamente rispetto alle pretese iniziali di Lombardia e Veneto, andranno finanziate con la compartecipazione a un tributo erariale, Iva o Irpef. Ma sulla sorte dell’eventuale gettito aggiuntivo una volta decisa la quota di compartecipazione è muro contro muro: per la Lega deve rimanere alle regioni interessate, per i Cinque Stelle deve restare allo Stato per essere girato alle altre regioni. Due linee che continuano a non incontrarsi, in attesa del vertice con i presidenti.