Dopo il 22 ottobre 2017, giorno del referendum consultivo cui risposero quasi 2,5 milioni di veneti, c’è un’altra data da segnare con il circoletto rosso (i bei tempi di Rino Tommasi…) sul calendario dell’autonomia: il 12 febbraio 2018. Se davvero la trattativa con il governo centrale andrà in porto, infatti, un passaggio fondamentale dovrà essere riconosciuto alla giornata di ieri. Ricapitoleremo tutto, come ovvio; ma intanto si tenga conto di questo: che in serata la firma dell’intesa — non solo per quanto riguarda il Veneto, ma anche per Lombardia e Emilia — appariva ormai imminente. Tanto che Zaia a Milano, durante la conferenza stampa congiunta con i governatori di Lombardia e Liguria per il lancio della candidatura del leghista Attilio Fontana al Pirellone, pronunciava queste parole: «Il processo è inesorabile. Le carte che andremo a firmare nelle prossime ore sono per questo (governo) e per quelli che verranno dopo».
Ma andiamo con ordine. Ci eravamo lasciati domenica, con la nostra esclusiva che rendeva noto il controdocumento di Palazzo Balbi alla prima bozza di accordo inviata dal sottosegretario Gianclaudio Bressa. Bozza che, per quanto riguarda la definizione dei rapporti tra Stato e Regioni, proponeva due principi totalmente avversati dal Veneto: quello della «spesa storica» per i trasferimenti statali necessari a fronteggiare le nuove competenze; e quello della compartecipazione ad un solo tributo erariale, a fronte invece dei più tributi auspicati dal Veneto.
Ebbene, proprio domenica, quando la trattativa sembrava prendere una china pericolosa, si è verificata l’accelerata decisiva. Ci sono stati contatti telefonici tra Zaia e Bressa, quindi tra Zaia e Maroni. Il governo assicurava che avrebbe fatto un passo avanti; le Regioni, dal canto loro, che non avrebbero mandato tutto all’aria. Non subito.
Il segnale decisivo però è arrivato ieri mattina, quando l’assemblea regionale dell’Emilia Romagna, l’altra Regione che sta portando avanti una trattativa sull’autonomia, dava mandato al proprio presidente Stefano Bonaccini (Pd) — senza alcun voto contrario — di firmare l’intesa con il governo. La Lega emiliana quindi si asteneva, ma intanto riusciva, con il proprio capogruppo Alan Fabbri, a fare approvare dallo stesso Bonaccini un ordine del giorno in cui si chiedeva «quale condizione per la sottoscrizione dell’intesa il superamento immediato del criterio della spesa storica per l’attribuzione delle risorse secondo il criterio dei fabbisogni standard». Una mossa finissima, che lo stesso Zaia seguiva in prima persona da Venezia in contatto sia con Bonaccini, sia con i vertici locali del partito.
Ed è così che si è arrivati alla svolta. Quasi in contemporanea con il voto emiliano, da Roma veniva infatti recapitata sui tavoli delle due Regioni leghiste la nuova bozza di intesa. Nel testo scompariva il criterio della «spesa storica», per far posto a quello dei «fabbisogni standard»; mentre d’altro canto veniva introdotto proprio il principio della compartecipazione ai tributi. Ameno da un punto di vista di condotta generale (senza cioè entrare nel dettaglio). Uno snodo importate. Poche ore dopo è stato il governatore della Lombardia a parlare: «Per quanto riguarda la mia Regione — dichiarava Bobo Maroni — questa nuova bozza è soddisfacente all’80 percento, certo c’è ancora da lavorare sul restante 20. Ma confido che si possa concludere entro la fine del mese. Il Veneto? Può anche darsi che quello che va bene a noi, non vada bene a lui. Non dobbiamo per forza fare una cosa tutti insieme». Ma in serata, seduto allo stesso tavolo di Maroni, ha parlato come detto anche Zaia: «Non faremo sconti, tuttavia questa nuova bozza si avvicina molto di più alle nostre richieste. Noi chiediamo sempre la competenza su tutte le 23 materie possibili e andremo avanti su questa strada. Ma ora spero si riesca a firmare». Certo i nodi restano: Zaia, con i 2,5 milioni di voti al referendum, vuole capire come marcare una distanza maggiore dalle altre Regioni; e poi in politica tutto può accadere. Ma lo spettro di un futuro incerto, magari con un governo più «freddo» sul tema, ha probabilmente dato la scossa decisiva. «Tra 15 giorni la firma davanti a Gentiloni», pronosticava qualcuno ieri. E quella che già solo domenica mattina sembrava un’enormità, ora pare un orizzonte non così lontano.
Giovanni Viafora – Il Corriere del Veneto – 13 febbraio 2018