A questa lettera, indirizzata al ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli e al presidente del Comitato Sabino Cassese, i quattro illustri firmatari arrivano dopo un lungo confronto sullo sviluppo attuativo della riforma: confronto che anche nella sintesi proposta dal testo con le dimissioni si snoda su articolate argomentazioni tecniche, ma che nella sostanza intreccia la questione politica fondamentale alla base dell’autonomia differenziata: i Livelli essenziali delle prestazioni, cioè in pratica gli standard minimi di servizio pubblico indispensabili per garantire in tutto il territorio nazionale i «diritti civili e sociali» tutelati dalla Costituzione, quanto costano?
L’ombra di questa domanda pesa come un macigno su tutta la costruzione della legge quadro sull’autonomia differenziata, soprattutto dopo che per ottenere l’intesa necessaria a partire si è deciso di subordinare il trasferimento di funzioni nelle Regioni che le richiedono alla preventiva definizione dei Lep. L’obiettivo politico è chiaro, ed è quello di rassicurare contro il rischio che l’attuazione dell’autonomia differenziata allarghi ulteriormente le distanze fra le Regioni più ricche del Centronord e quelle più povere del Sud. Le conseguenze pratiche sono state fin qui molto meno indagate.
In soldoni, è immaginabile che una definizione puntuale dei Lep, tale da assicurare standard adeguati di servizi locali anche nei territori che oggi ne sono spesso quasi totalmente sprovvisti, possa arrivare ad avere costi imponenti. Costi che, secondo il disegno di legge sull’autonomia differenziata, se si manifestassero andrebbero coperti in modo coerente «con gli obiettivi programmati di finanza pubblica», cioè senza creare nuovo deficit ma tramite aumenti di entrate o tagli di spesa.
In un contesto del genere, «restano irrisolti alcuni problemi di fondo», scrivono i dimissionari sottolineando prima di tutto «la evidente contraddizione fra il comma 791 della legge di bilancio per il 2023 e alcune disposizioni successive». La prima norma, che apre la serie delle regole scritte in manovra per arrivare a definire i Lep, richiama l’obiettivo del «pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni», e quindi fissano la condizione preventiva della determinazione degli standard minimi da garantire in tutta Italia.
Questa impostazione secondo i componenti uscenti del Comitato Lep è coerente con la Costituzione. A differenza delle norme successive che non indicano la necessità di costruire l’intero complesso dei Lep per i diritti civili e sociali prima di avviare il trasloco delle funzioni. Con il rischio che i servizi lasciati per ultimi non possano avere risorse a disposizione, perché già assorbite dalle funzioni quantificate prima.
Senza contare, aspetto tutt’altro che marginale, che l’intera architettura degli standard dovrebbe essere elaborata con un ruolo centrale del Parlamento, lasciato troppo ai margini dall’impostazione attuale. Per rimediare, Amato, Bassanini, Gallo e Pajno scrivono di aver proposto correttivi al Ddl quadro Calderoli, che però sarebbero stati respinti sia dal ministro sia dal presidente del Comitato. Di qui le dimissioni che, sottolinea la lettera, non sono un atto ostile all’idea di autonomia differenziata, perché restiamo pienamente consapevoli dell’importanza che avrebbe per il Paese una completa e corretta attuazione» delle previsioni costituzionali, ma nascono dalle scelte compiute ora per partire. E dalla domanda chiave sulle risorse, che rimane irrisolta.